L’attacco a Bersani perché non si presentasse  alle Camere, il “piano B” con Berlusconi tornato protagonista, secondo  il copione del Quirinale. Tra una sinistra subalterna e la storica  mancanza, in Italia, di una destra almeno formalmente democratica,  scivoliamo lungo una deriva mortale per la nostra fragile democrazia
 Rossana Rossanda (sbilanciamoci.info)
Né Hollande né Bersani sono due rivoluzionari, ma non  ricordo di aver assistito a una guerra più violenta di quella in atto  contro di loro. Proprio guerra di classe, ha ragione Gallino: la destra  proprietaria all’attacco contro chiunque non sia un liberista puro. In  Francia, la sconfitta di Sarkozy è stata seguita da un’offensiva  padronale durissima, chiusure, licenziamenti e delocalizzazioni che  hanno aumentato di colpo la già forte disoccupazione dovuta alla crisi –  oltre tre milioni di disoccupati, senza contare altri due milioni di  persone che sono costrette a lavoretti senza continuità né diritti. La  gente comune, il cui potere d’acquisto è decimato mese per mese ,  rimprovera sempre più aspramente al governo socialista di non aver  tenuto le promesse. Insomma è aperto il fuoco da destra e da sinistra. 
In  Italia, Pier Luigi Bersani è stato oggetto di una distruzione  sistematica, dal Quirinale e dalla stampa, per aver osato proporre di  far verificare alle camere una proposta di programma certo modesta ma  nella non infondata speranza di ottenere qualche voto dall’esercito dei  deputati grillini, che sono un’armata Brancaleone senza programma, nei  quali si potevano trovare una dozzina di voti come sono stati trovati  per la presidenza del Senato. Il Quirinale non glielo ha permesso, come  se fossimo già una repubblica presidenziale. Bersani non ha accettato,  ma neppure si è ribellato alla volontà del capo dello stato. Così sta  avanzando il cosiddetto “piano B”, che punta alla reintroduzione al  governo di un Berlusconi più sfacciato che mai: “voglio questo, voglio  quello” inossidabile, persuaso di poter proporre per il governo una  maggioranza di cui lui sarebbe parte fondamentale e al Quirinale un suo  uomo (“Letta o, perché no, io stesso”).
Non saprei quanto sarebbe  durato un governo come quello proposto da Bersani, anche se gli fosse  stato permesso di strapparlo alle Camere, ma quel che è sicuro è che il  senso del divieto presidenziale è riaprire la strada a una unità  nazionale di cui Berlusconi deve essere una parte determinante. In  qualche modo, il fatto che Napolitano l’abbia ricevuto al Quirinale dopo  che il Cavaliere aveva vomitato le sue insolenze due giorni prima in  Piazza del Popolo l’ha, politicamente parlando, legittimato. E in tutta  l’Italia sembra aver tirato un respiro di sollievo, basta con le  interdizioni, chi propone e decide è il voto popolare – tesi che nel  Novecento ha dato il potere alle dittature fasciste. Perché l’Italia non  ha voluto assolutamente Bersani? Non certo, ripeto, perché avesse un  programma sovversivo né estremista, e neppure antieuropeo; ma assai  vagamente riformista, perché aveva dei rapporti con Vendola e la Fiom,  perché aveva permesso che nel suo partito si annidassero pericolosi  soggetti come Orfini e Fassina. Questo andava impedito. 
È venuto  il momento di smettere di domandarsi com’è che Berlusconi rispunta  sempre sulla scena politica. Bisogna riconoscere che quando sembra del  tutto abbattuto, c’è sempre una mano di destra o di sinistra che lo  risolleva dal pantano in cui si trova. Bisogna chiedersi invece perché  per la quinta volta questo scenario si ripete e se non ci sia nel paese  un guasto assai profondo che ne consente la disposizione. Pare evidente  la responsabilità di una sinistra – specificamente il Pci, che era stato  dopo la guerra il più rilevante e interessante di tutto l’occidente –  nel non aver esaminato le ragioni del crollo dell’89, quando i figli di  Berlinguer si sono convertiti di colpo a Fukuyama (“la storia è finita”)  con la stessa impermeabilità che avevano opposto a chi, fino a un mese  prima, aveva avanzato qualche critica al sistema sovietico. 
Ma,  una volta ammessa questa debolezza della sinistra e dei comunisti  italiani in particolare, è impossibile non chiedersi perché l’Italia  sembri incapace, ormai storicamente, di darsi una destra almeno  formalmente democratica, non sull’orlo dell’incriminazione in nome del  codice penale. È questa una maledizione che ci perseguita fin dall’unità  del paese e non sembrano certo i dieci “saggi” proposti dal Colle in  grado di affrontarne le ragioni e estirparne le radici. Destra e  sinistra sembrano ammalate nel loro stesso fondamento culturale e  morale; la ragione di fondo per cui ci troviamo nella bruttissima  situazione odierna sta, evidentemente, qui, finché questa diagnosi non  viene seriamente fatta, non ne usciremo, neppure quando non mancano,  come oggi, ragionevoli proposte per bloccare una deriva che appare  mortale per la nostra giovane e fragile democrazia. 
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