di Stefano Benni (La Repubblica)
GENTILE civiltà aliena del pianeta terra. Siamo gli abitanti della stella KIC 8462852 distante 1481 anni luce, quella che state osservando con quel bidone aspiratutto che chiamate satellite Kepler. Sappiamo che siete turbati perché avete notato delle variazioni di luce anomala sulla nostra superficie, e i vostri giornali e scienziati stanno sparando ipotesi. Ci teniamo quindi a precisare quanto segue.
Anzitutto smettetela di chiamarci alieni. Il termine “alieno” è reciproco, quindi se noi siamo alieni per voi, voi siete alieni per noi. La nostra stella non si chiama KIC 8462852, ma Seuisprusbellusdetottukosmox, quindi facciamo uno sforzo linguistico: noi vi chiameremo terrestri e voi chiamateci Prubelli. Vi chiederete perché parliamo la vostra lingua. Beh, non abbiamo né televisione né web né gossip, ma siamo telepatici a lunga distanza, e ci colleghiamo cerebralmente con voi per ridere quando siamo un po’ tristi. Se proprio volete saperlo, nelle nostre barzellette razziste voi siete i nostri carabinieri, i nostri terroni, eccetera. È vero, come avete ipotizzato, che siamo una civiltà superiore alla vostra, ma non per la tecnologia. Siamo semplicemente più pacifici, amichevoli e ottimisti di voi, ma anche un po’ riservati e incazzosi. Quindi quel vostro obsoleto bidone aspiratutto che ci sta spiando ci innervosisce un po’.
ABBIAMO letto che vi stupite delle variazioni luminose della nostra stella. Pensate che il fenomeno sia dovuto a pannelli solari, a utilizzo di gas rari e sconosciuti, a avanzatissime tecniche di trasformazione energetica. La vostra misura dell’Universo è l’Enel. Avevamo pensato di prendervi in giro, dicendovi che la luce viene da concerti rock con palchi di ventisei chilometri, per far schiattare di invidia i vostri rockettari, oppure che Kepler stava osservando una partita notturna di calcio galattico tra noi e il Real Andromeda. Ma detestiamo le bugie.
Non vi descriviamo che tipo di creature siamo, quanti arti, tentacoli, antenne e orecchie abbiamo, perché sappiamo che definite bizzarro chiunque non assomigli a voi. Pensateci pure come dei peluche di tre tonnellate, o dei polipi ballerini, o degli stronzi azzurri che procedono rotolando, o mostri simili a mantidi, oloturie o cuochi di Master chef. Immaginateci come vi piace.
Però possiamo dire che abbiamo una bellissima musica che assomiglia un po’ al vostro blues e un po’ al rumore che fanno le vostre lavatrici. Ma non abbiamo bisogno di grandi palchi né di effetti speciali. Non abbiamo neanche un campionato di calcio, anche se ci piacerebbe. Perché ahimè, sul nostro pianeta siamo in ventuno, e ci manca sempre un giocatore.
Il nostro sport nazionale è il Nonsifrullax. Non è facile da spiegare. Diciamo che assomiglia al vostro biliardino, o calcio balilla. Dieci di noi stanno infilati nei bastoni e quattro girano le manopole. Dato che i bastoni sono infilati in modo e zona non piacevole, le partite durano pochissimo, tutti vogliono manovrare e nessuno vuole fare l’ometto calciatore. Quindi la luce non viene da uno stadio.
La spiegazione è più semplice. Noi Prubelli siamo aperti e tolleranti, abbiamo dodici sessi e quindi non ringhiamo come fate voi su chi è normale, su chi ha diritti, e su cos’è la vera famiglia. Abbiamo una vita abbastanza regolare, che voi potreste definire noiosa, ma per noi è serena, avevamo una grande tecnologia ma ci abbiamo rinunciato mantenendo solo tre invenzioni: il giradischi, il cellulare senza tasti per non disturbare nessuno, e la bicicletta. Ci piace moltissimo fare gite in montagna, salire e discendere. Purtroppo la pendenza più alta del nostro pianeta è sedici centimetri, perciò ci scaliamo tra di noi.
Volete sapere il perché delle variazioni di luce? In ogni gruppo o etnia o civiltà c’è una percentuale di rompicoglioni. È una legge universale. Noi siamo pochi e ne abbiamo uno solo: si chiama Macculimortèx, è un prubello buono e mite, ma lamentoso e sempre scontento. Dice che dovremmo essere più aperti all’universo, più curiosi. Forse ha ragione, ma talvolta esagera. Ad esempio da quando sa che voi ci spiate, vi spia a sua volta, ha tirato fuori un vecchio telescopio e vi osserva tutta la notte. Dice che non capisce niente di quello che fate, ma che avete dei bellissimi quadri e alberi e che non fate altro che mangiare.
Ebbene sì su Seuisprusbellus siamo golosi. Ma non abbiamo materie prime: una sola verdura la peppera piccante, e un solo animale commestibile, il Gigacocco. I nostri piatti tipici sono il tortino di polvere alla peppera e il macigno pepperato, che sarebbe un po’ come la vostra amatriciana, ma meno digeribile.
Perché, direte voi, non mangiate il Gigacocco? Beh il Gigacocco assomiglia a un vostro pollo, ma è alto come un condominio di otto piani, e ha una pessimo carattere. È già tanto se lui non mangia noi.
Questo turba Makkulimortèx. È ossessionato dalle vostre televisioni, segue le migliaia di trasmissioni dedicate alla cucina, e crepa d’invidia. È convinto che voi pensiate solo a mangiare perché non avete altri pensieri. E invece sappiamo che voi mangiate proprio perché siete pieni di pensieri. E molti di voi non hanno da mangiare.
Ogni notte Makku si collega con la Terra e inizia a cantare le vostre sigle e a declamare a alta voce le ricette tipo “dadolata di astice con polenta allo zenzero su letto di rucola e julienne di mango“. Lo affascina la selvaggia violenza dei vostri chef e il pianto dei concorrenti, dice che è la cosa più deliziosamente sadica dell’universo.
In una di queste notti insonni Makku è impazzito, ha spalancato la finestra e si à messo a gridare «anche io voglio la dadolata di astice!». Ci siamo svegliati, abbiamo acceso la luce e ci siamo messi a urlare in coro «basta, rompiballe, sta zitto, facci dormire».
Svelato il mistero: le variazioni di luce sono dovute alle nostre arrabbiature contro il delirio notturno di Makku. Ed è colpa vostra.
Quindi vi diamo un consiglio.
Dimenticate KIC 8462852 come la chiamate voi. La vostra curiosità scientifica è legittima, ma vi facciamo una domanda. Vi farebbe veramente bene scoprire che esiste una civiltà “aliena”?
Certo, la certezza che non siete soli nell’universo potrebbe ridimensionare la vostra onnipotenza, la vostra avidità, la vostra fame di dominio.
Ma se invece vi facesse male? Se subito pensaste a accordi commerciali, a sfruttamento delle risorse, addirittura a una escalation di armamenti contro la nostra minaccia?
Non siete in grado di accettare gli immigrati e sareste capaci di accogliere gente da altri pianeti? Siete spaventati dall’omosessualità e accettereste i nostri dodici sessi? Ve ne fregate di chi sta male ai vostri confini e vi interessate a noi che stiamo a mille anni luce?
Forse è meglio se non ipotizzate troppo, e vi limitate a raccogliere i dati del vostro bidone aspiratutto.
Avete altro a cui pensare: cercate di non distruggere il vostro pianeta e non ammazzatevi troppo in nome di grandi idee che nell’universo diventano meno di un brivido. E non fate falli su Messi (certo, se arrivasse lui come ventiduesimo potremmo giocare grandi partite!). Soprattutto, per dirla nella nostra lingua Fathevansfurkettatteccazzevostrex (Fatevi un po’ gli affari vostri).
Cordiali saluti e auguri, i ventuno abitanti di Seuisprusbellusdetottuscosmox.
I link ai giornali degli articoli spesso cambiano e diventa difficile se non impossibile recuperare i testi ai quali si riferivano. Questo è l'archivio on-line del blog Giornale-NOTIZIEOGGI
20.10.15
Lettera alla civiltà aliena del pianeta Terra: “Siamo i Prubelli e vi spieghiamo di cosa pulsa la nostra luce”
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Ma la Commissione non concederà più flessibilità all’Italia - Europa. Renzi dovrà tagliare 27 miliardi
Il «Fiscal Compact» è dietro l’angolo, un gigante difficilmente aggirabile
di Andrea Del Monaco [esperto di norme e fondi europei] (Il Manifesto)
Merkel e Juncker imporranno a Matteo Renzi tagli per 27 miliardi. Le misure in Legge di Stabilità non si possono finanziare a debito: nel 2016 il Fiscal Compact impone un rapporto Deficit/ Pil dell’1,4%. Renzi vuole sforare quasi dell’1%: vediamo perché è impossibile.
Il commissario Katainen ha già bocciato lo sforamento dello 0,2% per la gestione degli immigrati.
Mentre anche l’altra richiesta italiana, sforare dello 0,3% (5 miliardi di cofinanziamento italiano ai programmi Ue) per la clausola investimenti è poco credibile: infatti quei 5 miliardi potrebbero essere esclusi dal computo del deficit se nel 2016 spendessimo 10 miliardi di programmi cofinanziati dai fondi UE. Poiché al 31 maggio 2015 abbiamo ancora 15 miliardi da spendere dei vecchi programmi 2007–2013 è risibile che l’Italia faccia tale richiesta.
Infine, Padoan vuole sforare un altro 0,4% di Pil (6,4 miliardi) per le presunte «riforme strutturali»; ma il governo Renzi, avendo già invocato tale clausola riforme per il 2015 non può invocarla una seconda volta. Il taglio strutturale delle tasse, in quanto strutturale, non può essere coperto dalla clausola riforme che è una tantum, infatti il commissario europeo Moscovici (a Lucia Annunziata nella trasmissione in 1/2 Ora su Rai 3) ha ricordato che «se il Governo italiano decide riduzioni fiscali» deve fare tagli corrispondenti nel bilancio dello stato. Altrimenti Renzi metterà nuove tasse per sostituire le imposte che vuole abolire.
Partiamo dalla Tasi: il suo gettito nel 2014 è stato di 4,6 miliardi. Come Berlusconi, Renzi prospetta ai contribuenti un risparmio immediato.
Secondo il Servizio Politiche Territoriali della Uil, in valori assoluti il risparmio maggiore sarebbe a Torino, mediamente 403 euro a famiglia; a Roma 391 euro; a Napoli 318 euro e a Milano 300 euro. Ma se Renzi tagliasse la Tasi, quanto dovrebbe versare nelle casse dei singoli comuni? L’assegno per Roma dovrebbe ammontare a 524 milioni di euro; per Milano 205 milioni; per Torino 114 milioni; per Napoli 63 milioni. Qualora il governo Renzi non versasse questi singoli assegni alle municipalità, i Comuni inventeranno l’ennesima tassa locale.
In conclusione, l’abolizione della Tasi ha senso solo se i comuni non mettono nuove tasse e mantengono invariati i servizi. Possibile? Solo se Renzi taglia altre spese oppure si indebita. Purtroppo però il Fiscal Compact impedisce ulteriore debito.
E non è finita qui.
Il governo scherza con le norme di salvaguardia ma prima o poi lo scherzo finisce
Renzi deve trovare altri 22 miliardi per mantenere le sue promesse: 1,5 miliardi per estendere al 2016 la decontribuzione totale a beneficio delle aziende che assumono a tempo indeterminato; 2,1 miliardi per permettere la reindicizzazione delle pensioni e il rinnovo dei contratti dei lavoratori del pubblico impiego (lo impongono le ultime sentenze della Corte Costituzionale); 18,8 miliardi per sterilizzare le clausole di salvaguardia ed evitare nel 2016 gli aumenti delle accise sui carburanti, l’incremento degli acconti Irpef e Ires, e, l’aumento dell’Iva.
L’Ufficio Studi della Cgia di Mestre ha fatto qualche calcolo.
Una prima clausola di salvaguardia sarebbe scaduta il 30 settembre ed è stata introdotta qualche mese fa poiché l’Ue non ha autorizzato l’estensione del «Reverse charge» alla grande distribuzione.
Una seconda clausola (la cui prima scadenza era il 30 settembre) fu introdotta ad agosto 2013 con il DL 102/2013. L’allora presidente Letta, quando confermò l’abolizione della prima rata dell’Imu del 2013, ricorse al gettito incassato dalla sanatoria accordata ai concessionari dei giochi (definizione agevolata dei giudizi di responsabilità amministrativa per i concessionari dei giochi) e al maggior gettito Iva generato dal pagamento dei debiti pregressi della Pubblica amministrazione. Malgrado fossero attesi da queste misure 1,52 miliardi di euro, alla fine furono incassati solo 880 milioni.
E così per trovare i rimanenti 640 milioni di euro fu introdotta una clausola di salvaguardia basata su due provvedimenti: l’aumento degli acconti Ires e Irap di 1,5 punti percentuali; l’incremento delle accise a partire dal primo gennaio 2015, per un importo complessivo di 671,1 milioni di euro.
Quando divenne premier, Matteo Renzi volle evitare l’aumento delle accise e puntò sulla «Voluntary Disclosure» con il DL 192/2014. Temendo di non avere un gettito sufficiente, il governo italiano ha prorogato i termini della «Voluntary Disclosure» dal 30 settembre al 30 novembre.
Infine, occorre trovare altri 16 miliardi: in caso contrario il primo gennaio 2016 l’Iva ordinaria passerà dal 22 al 24%, l’aliquota Iva ridotta salirà dal 10 al 12% e aumenteranno le accise sui carburanti (valore 12,8 miliardi); inoltre verranno ridotte detrazioni e agevolazioni fiscali, saranno aumentate aliquote di imposte se non verranno fatti tagli per altri 3,2 miliardi.
Tutto ciò solo per il 2016. Fino al 2018 per disinnescare le clausole di salvaguardia ed evitare l’Iva al 25,5% il Governo dovrà tagliare 75 miliardi. Lo farà dove è più semplice: sanità, scuola, welfare e lavoratori dipendenti.
di Andrea Del Monaco [esperto di norme e fondi europei] (Il Manifesto)
Merkel e Juncker imporranno a Matteo Renzi tagli per 27 miliardi. Le misure in Legge di Stabilità non si possono finanziare a debito: nel 2016 il Fiscal Compact impone un rapporto Deficit/ Pil dell’1,4%. Renzi vuole sforare quasi dell’1%: vediamo perché è impossibile.
Il commissario Katainen ha già bocciato lo sforamento dello 0,2% per la gestione degli immigrati.
Mentre anche l’altra richiesta italiana, sforare dello 0,3% (5 miliardi di cofinanziamento italiano ai programmi Ue) per la clausola investimenti è poco credibile: infatti quei 5 miliardi potrebbero essere esclusi dal computo del deficit se nel 2016 spendessimo 10 miliardi di programmi cofinanziati dai fondi UE. Poiché al 31 maggio 2015 abbiamo ancora 15 miliardi da spendere dei vecchi programmi 2007–2013 è risibile che l’Italia faccia tale richiesta.
Infine, Padoan vuole sforare un altro 0,4% di Pil (6,4 miliardi) per le presunte «riforme strutturali»; ma il governo Renzi, avendo già invocato tale clausola riforme per il 2015 non può invocarla una seconda volta. Il taglio strutturale delle tasse, in quanto strutturale, non può essere coperto dalla clausola riforme che è una tantum, infatti il commissario europeo Moscovici (a Lucia Annunziata nella trasmissione in 1/2 Ora su Rai 3) ha ricordato che «se il Governo italiano decide riduzioni fiscali» deve fare tagli corrispondenti nel bilancio dello stato. Altrimenti Renzi metterà nuove tasse per sostituire le imposte che vuole abolire.
Partiamo dalla Tasi: il suo gettito nel 2014 è stato di 4,6 miliardi. Come Berlusconi, Renzi prospetta ai contribuenti un risparmio immediato.
Secondo il Servizio Politiche Territoriali della Uil, in valori assoluti il risparmio maggiore sarebbe a Torino, mediamente 403 euro a famiglia; a Roma 391 euro; a Napoli 318 euro e a Milano 300 euro. Ma se Renzi tagliasse la Tasi, quanto dovrebbe versare nelle casse dei singoli comuni? L’assegno per Roma dovrebbe ammontare a 524 milioni di euro; per Milano 205 milioni; per Torino 114 milioni; per Napoli 63 milioni. Qualora il governo Renzi non versasse questi singoli assegni alle municipalità, i Comuni inventeranno l’ennesima tassa locale.
In conclusione, l’abolizione della Tasi ha senso solo se i comuni non mettono nuove tasse e mantengono invariati i servizi. Possibile? Solo se Renzi taglia altre spese oppure si indebita. Purtroppo però il Fiscal Compact impedisce ulteriore debito.
E non è finita qui.
Il governo scherza con le norme di salvaguardia ma prima o poi lo scherzo finisce
Renzi deve trovare altri 22 miliardi per mantenere le sue promesse: 1,5 miliardi per estendere al 2016 la decontribuzione totale a beneficio delle aziende che assumono a tempo indeterminato; 2,1 miliardi per permettere la reindicizzazione delle pensioni e il rinnovo dei contratti dei lavoratori del pubblico impiego (lo impongono le ultime sentenze della Corte Costituzionale); 18,8 miliardi per sterilizzare le clausole di salvaguardia ed evitare nel 2016 gli aumenti delle accise sui carburanti, l’incremento degli acconti Irpef e Ires, e, l’aumento dell’Iva.
L’Ufficio Studi della Cgia di Mestre ha fatto qualche calcolo.
Una prima clausola di salvaguardia sarebbe scaduta il 30 settembre ed è stata introdotta qualche mese fa poiché l’Ue non ha autorizzato l’estensione del «Reverse charge» alla grande distribuzione.
Una seconda clausola (la cui prima scadenza era il 30 settembre) fu introdotta ad agosto 2013 con il DL 102/2013. L’allora presidente Letta, quando confermò l’abolizione della prima rata dell’Imu del 2013, ricorse al gettito incassato dalla sanatoria accordata ai concessionari dei giochi (definizione agevolata dei giudizi di responsabilità amministrativa per i concessionari dei giochi) e al maggior gettito Iva generato dal pagamento dei debiti pregressi della Pubblica amministrazione. Malgrado fossero attesi da queste misure 1,52 miliardi di euro, alla fine furono incassati solo 880 milioni.
E così per trovare i rimanenti 640 milioni di euro fu introdotta una clausola di salvaguardia basata su due provvedimenti: l’aumento degli acconti Ires e Irap di 1,5 punti percentuali; l’incremento delle accise a partire dal primo gennaio 2015, per un importo complessivo di 671,1 milioni di euro.
Quando divenne premier, Matteo Renzi volle evitare l’aumento delle accise e puntò sulla «Voluntary Disclosure» con il DL 192/2014. Temendo di non avere un gettito sufficiente, il governo italiano ha prorogato i termini della «Voluntary Disclosure» dal 30 settembre al 30 novembre.
Infine, occorre trovare altri 16 miliardi: in caso contrario il primo gennaio 2016 l’Iva ordinaria passerà dal 22 al 24%, l’aliquota Iva ridotta salirà dal 10 al 12% e aumenteranno le accise sui carburanti (valore 12,8 miliardi); inoltre verranno ridotte detrazioni e agevolazioni fiscali, saranno aumentate aliquote di imposte se non verranno fatti tagli per altri 3,2 miliardi.
Tutto ciò solo per il 2016. Fino al 2018 per disinnescare le clausole di salvaguardia ed evitare l’Iva al 25,5% il Governo dovrà tagliare 75 miliardi. Lo farà dove è più semplice: sanità, scuola, welfare e lavoratori dipendenti.
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15.10.15
Cittadini si nasce o si diventa?
Nadia Urbinati (La Repubblica)
Cittadini si nasce o si diventa. Facile a dirsi, difficile a farsi. Non foss’altro perché, quando si tratta di decidere sull’appartenenza al corpo politico, sul potere di cittadinanza, verbi come “nascere” e “diventare” sono oggetto di interpretazioni discordanti e difficilmente riducibili a formule semplici.
La legge appena approvata alla Camera sul riconoscimento di cittadinanza a residenti non italiani, importante sotto molti aspetti e benvenuta, ne è un esempio. Essa stabilisce che acquisisce la cittadinanza italiana chi è nato nel territorio della repubblica da genitori stranieri, di cui almeno uno sia in possesso del permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo. Perché chi è nato in Italia abbia diritto alla cittadinanza deve dimostrare che almeno un genitore sia nella norma. La nascita non è sufficiente, dunque, e lo ius soli non è automatico. Il destino del bimbo o della bimba sta se così si può dire nella mani dei genitori (e dello Stato ospitante). Questa regola modera lo ius soli, il quale nella sua connotazione normativa dà priorità alla persona, ovvero ai nati e non a chi li ha messi al mondo. Gli Stati Uniti danno un’idea della radicalità di questo principio se interpretato come diritto del singolo. Nella patria dello ius soli meno annacquato o più genuino, è sufficiente per un bimbo essere nato dentro i confini della federazione per essere cittadino americano. E così può succedere, che genitori stranieri decidano di “regalare” al loro figlio la cittadinanza americana facendolo nascere sul suolo americano. Ciò è sufficiente a richiedere ed ottenere il passaporto, anche se i genitori non sono residenti e anche se sono “clandestini”. Neppure la Francia, il paese europeo più aderente allo ius soli, è così inclusivo e – soprattutto— tanto rispettoso dei diritti della singola persona.
L’interpretazione di “nascita” e “acquisizione” della cittadinanza è come si vede tutt’altro che semplice. E del resto, questa complessità interpretativa è testimoniata dall’esistenza in Italia di un altro regime di cittadinanza, quello detto dello ius sanguinis: un regime che vale solo per gli italiani etnici, per cui nascere in Argentina o in Australia da genitori di genitori italiani (avere un bisnonno nato in Italia) dà diritto a richiedere il passaporto italiano dopo aver trascorso un breve periodo di residenza nel paese. Per ovvie ragioni, il contesto famigliare è in questo caso determinante.
Ma perché dovrebbe esserlo anche per lo ius soli? Certo, considerato il fondamento nazionale della cittadinanza nei paesi europei, la legge appena approvata dalla Camera è un passo avanti importante e la reazione della Lega (che ha già annunciato un referendum abrogativo qualora il Senato non cambi il testo) lo dimostra. C’è però da augurarsi che il passo avanti compiuto si faccia più coraggioso, perché la cittadinanza a chi nasce in Italia e non è maggiorenne dipende ancora da una dichiarazione di volontà espressa da un genitore o da chi esercita la responsabilità genitoriale.
Al di là della moderazione interpretativa del principio dello ius soli, questa nuova legge in discussione presenta inoltre un aspetto di discriminazione che sarebbe fortemente desiderabile correggere, perché stride non soltanto col proclamato principio dello ius soli, ma prima ancora con quello dell’eguale dignità delle persone. Come si è detto, la nascita sul suolo italiano non è sufficiente, se altre condizioni non sono presenti, due in particolare: la frequenza scolastica e la condizione economica della famiglia.
Nel primo caso, il bambino nato o entrato nel paese prima della maggiore età deve dimostrare di aver frequentato almeno cinque anni di scuola pubblica. Per uno straniero la condizione di alfabetizzazione può aver senso anche perché è nel suo stesso interesse conoscere la lingua del paese. Tuttavia se si tratta di un bambino nato e socializzato in Italia, è davvero giustificabile attendere l’attestato della quinta elementare? La seconda condizione è grave in sé perché introduce un fattore di discriminazione. Torniamo al caso dei nati in Italia, per i quali è necessario che almeno un genitore sia in possesso di “permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo” per richiedere la cittadinanza. Ora, sappiamo che per avere questo permesso, il residente straniero deve dimostrare non solo di aver vissuto in Italia da almeno cinque anni, ma anche di avere un reddito superiore all’assegno sociale (circa mille euro al mese o poco più) e un “alloggio idoneo”. Come possono due bambini nati in Italia essere considerati diversi ai fini della cittadinanza per questioni economiche – di cui non sono tra l’altro responsabili? Come possono due bimbi giustificare a se stessi che solo chi dei due è meno povero merita di essere cittadino? Può essere la povertà una ragione di esclusione? È augurabile che il legislatore veda la contraddizione insita in questa norma rispetto al significato della cittadinanza moderna, per cui è proprio chi ha poco o nessun potere sociale ed economico ad avere più bisogno del potere politico.
Cittadini si nasce o si diventa. Facile a dirsi, difficile a farsi. Non foss’altro perché, quando si tratta di decidere sull’appartenenza al corpo politico, sul potere di cittadinanza, verbi come “nascere” e “diventare” sono oggetto di interpretazioni discordanti e difficilmente riducibili a formule semplici.
La legge appena approvata alla Camera sul riconoscimento di cittadinanza a residenti non italiani, importante sotto molti aspetti e benvenuta, ne è un esempio. Essa stabilisce che acquisisce la cittadinanza italiana chi è nato nel territorio della repubblica da genitori stranieri, di cui almeno uno sia in possesso del permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo. Perché chi è nato in Italia abbia diritto alla cittadinanza deve dimostrare che almeno un genitore sia nella norma. La nascita non è sufficiente, dunque, e lo ius soli non è automatico. Il destino del bimbo o della bimba sta se così si può dire nella mani dei genitori (e dello Stato ospitante). Questa regola modera lo ius soli, il quale nella sua connotazione normativa dà priorità alla persona, ovvero ai nati e non a chi li ha messi al mondo. Gli Stati Uniti danno un’idea della radicalità di questo principio se interpretato come diritto del singolo. Nella patria dello ius soli meno annacquato o più genuino, è sufficiente per un bimbo essere nato dentro i confini della federazione per essere cittadino americano. E così può succedere, che genitori stranieri decidano di “regalare” al loro figlio la cittadinanza americana facendolo nascere sul suolo americano. Ciò è sufficiente a richiedere ed ottenere il passaporto, anche se i genitori non sono residenti e anche se sono “clandestini”. Neppure la Francia, il paese europeo più aderente allo ius soli, è così inclusivo e – soprattutto— tanto rispettoso dei diritti della singola persona.
L’interpretazione di “nascita” e “acquisizione” della cittadinanza è come si vede tutt’altro che semplice. E del resto, questa complessità interpretativa è testimoniata dall’esistenza in Italia di un altro regime di cittadinanza, quello detto dello ius sanguinis: un regime che vale solo per gli italiani etnici, per cui nascere in Argentina o in Australia da genitori di genitori italiani (avere un bisnonno nato in Italia) dà diritto a richiedere il passaporto italiano dopo aver trascorso un breve periodo di residenza nel paese. Per ovvie ragioni, il contesto famigliare è in questo caso determinante.
Ma perché dovrebbe esserlo anche per lo ius soli? Certo, considerato il fondamento nazionale della cittadinanza nei paesi europei, la legge appena approvata dalla Camera è un passo avanti importante e la reazione della Lega (che ha già annunciato un referendum abrogativo qualora il Senato non cambi il testo) lo dimostra. C’è però da augurarsi che il passo avanti compiuto si faccia più coraggioso, perché la cittadinanza a chi nasce in Italia e non è maggiorenne dipende ancora da una dichiarazione di volontà espressa da un genitore o da chi esercita la responsabilità genitoriale.
Al di là della moderazione interpretativa del principio dello ius soli, questa nuova legge in discussione presenta inoltre un aspetto di discriminazione che sarebbe fortemente desiderabile correggere, perché stride non soltanto col proclamato principio dello ius soli, ma prima ancora con quello dell’eguale dignità delle persone. Come si è detto, la nascita sul suolo italiano non è sufficiente, se altre condizioni non sono presenti, due in particolare: la frequenza scolastica e la condizione economica della famiglia.
Nel primo caso, il bambino nato o entrato nel paese prima della maggiore età deve dimostrare di aver frequentato almeno cinque anni di scuola pubblica. Per uno straniero la condizione di alfabetizzazione può aver senso anche perché è nel suo stesso interesse conoscere la lingua del paese. Tuttavia se si tratta di un bambino nato e socializzato in Italia, è davvero giustificabile attendere l’attestato della quinta elementare? La seconda condizione è grave in sé perché introduce un fattore di discriminazione. Torniamo al caso dei nati in Italia, per i quali è necessario che almeno un genitore sia in possesso di “permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo” per richiedere la cittadinanza. Ora, sappiamo che per avere questo permesso, il residente straniero deve dimostrare non solo di aver vissuto in Italia da almeno cinque anni, ma anche di avere un reddito superiore all’assegno sociale (circa mille euro al mese o poco più) e un “alloggio idoneo”. Come possono due bambini nati in Italia essere considerati diversi ai fini della cittadinanza per questioni economiche – di cui non sono tra l’altro responsabili? Come possono due bimbi giustificare a se stessi che solo chi dei due è meno povero merita di essere cittadino? Può essere la povertà una ragione di esclusione? È augurabile che il legislatore veda la contraddizione insita in questa norma rispetto al significato della cittadinanza moderna, per cui è proprio chi ha poco o nessun potere sociale ed economico ad avere più bisogno del potere politico.
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2.10.15
Così finisce il mito dell’«auto pulita»
Marco Morosini (Avvenire)
Si scopre in questi giorni che il più grande costruttore di automobili del mondo ha truffato clienti e autorità con un software che indicava durante i test di conformità emissioni molto più basse di quelle reali. Tuttavia, come scrive l’Economist in copertina ("I segreti sporchi dell’industria automobilistica" 26.9.2015), sotto accusa è l’intera industria dell’auto e il presunto "segreto" su quanto realmente sporche siano le emissioni delle automobili. A incrinarsi ora sui media mondiali non è solo la reputazione di Volkswagen, ma è il mito dell’"auto pulita".
Un "tigre nel motore" e aria pulita dallo scarico?
Come abbiamo potuto credere di poter avere un tigre nel motore e aria pulita dal tubo di scappamento? Le migliorie tecniche antinquinamento non cambiano le leggi della chimica: da carburanti sporchi non si possono ottenere emissioni "pulite" e la massima forza motrice. A causa dei gas di scarico delle auto "pulite" centinaia di migliaia di persone muoiono ogni anno, decine di milioni si ammalano, i cambiamenti climatici e i loro effetti deleteri sono accelerati. Il motore a combustione interna fu tecnicamente geniale, ma condusse la motorizzazione di massa in un vicolo cieco. Cento anni fa mancavano la cultura e la scienza per pensare alle sue conseguenze sull’ambiente e la salute. Il suo pioniere, Karl Benz, riteneva che in Germania le automobili non sarebbero mai state più di qualche migliaio. Chi immaginava un miliardo di auto in circolazione? I gas di combustione scompaiono nell’aria senza tracce, diceva l’industria automobilistica quando ne circolavano pochi milioni. Quando si capì che non era così, il suo potere economico, politico e culturale era tanto cresciuto da metterla al riparo da tutto. Fino ad oggi.
Un Computer con le ruotenel nostro futuro
Vent’anni fa i più alti fatturati mondiali erano delle aziende del petrolio e delle automobili, oggi sono delle aziende di hardware e software. Alcune di loro stanno progettando le prossime generazioni di automobili. L’auto del futuro sarà un computer con le ruote, non un panzer carico di gadget elettronici, diceva il tecnologo statunitense Armory Lovins. Daniel Goeudevert, il francese ex professore di lettere, alla testa di Volkswagen dal 1991 al 1993, diceva che i quadri dell’industria dell’automobile son prigionieri di schemi mentali praticati per un secolo. Le soluzioni per un’automobile sostenibile - diceva - non verranno dalla stessa industria che per cento anni ne ha sviluppata una insostenibile. Per questo Goeudevert avviò insieme a Swatch il progetto di una "Swatchmobil" rivoluzionaria. Insieme a lui ne era l’artefice Nicolas Hayek, il visionario industriale che aveva fatto rinascere l’orologeria svizzera inventando lo Swatch, un orologio più semplice e più leggero. Il contrario di ciò che fanno gli ingegneri automobilistici, con macchine sempre più pesanti e più complicate.
Il vicolo cieco del motore a combustione interna
I motori a combustione bruciano ogni anno miliardi di tonnellate di derivati del petrolio, costituiti da miscele di migliaia di sostanze. La loro combustione produce altre migliaia di sostanze, in parte ignote, in parte notoriamente nocive per la salute e l’ambiente. Leggi e misurazioni riguardano solo una manciata di queste: CO2, CO, ossidi di azoto, ossidi di zolfo, polveri sottili. Mentre per autorizzare o vietare l’uso di un nuovo farmaco servono anni di ricerca sui suoi effetti e rischi, nessuna ricerca fu fatta quando si cominciò a bruciare i derivati del petrolio nelle automobili. La loro diffusione di massa divenne il tramite involontario per esporre i polmoni di miliardi di persone a una miscela di sostanze indesiderabili. Gli studiosi hanno accertato che miliardi di tonnellate di gas di scarico emessi ogni anno nuocciono a salute, flora, fauna, ecosistemi, clima, edifici e monumenti. Eppure si crede ancora all’auto "pulita". E’ vero: sotto la pressione di scienziati e organizzazioni di cittadini, l’industria riuscì a ridurre le emissioni di alcune delle sostanze nocive. Parte di questa riduzione però è vanificata dall’aumento delle auto in circolazione e dei chilometri percorsi. Per ogni litro di carburante sono emessi alcuni grammi di sostanze nocive localmente, ma due chili e mezzo di CO2, innocua localmente, ma nociva globalmente. L’aumento della sua concentrazione nell’atmosfera, infatti, è la causa principale dei mutamenti climatici provocati dall’uomo. Quando è nuova di fabbrica, la moderna automobile emette meno inquinanti locali di una volta. Tuttavia i suoi catalizzatori non possono diminuire le emissioni di CO2, che sono proporzionali alla quantità di carburante bruciato.
Aria più pulita in città, clima più instabile nel mondo
Automobili "meno sporche" hanno un paradossale effetto rebound (rimbalzo). I clienti le comprano e usano più volentieri. In città ne posso circolare di più senza soffocare la popolazione. Così, erroneamente, non ci si preoccupa se il loro peso, la loro potenza, il loro numero, i chilometri percorsi, e quindi anche il consumo complessivo di carburante dell’intera flotta crescono. In altre parole, paghiamo con più inquinamento globale (la CO2), una certa riduzione dell’inquinamento locale. Il beneficio di un’aria meno inquinata è qui e ora. Mentre si ritiene che l’alterazione climatica dovuta alla CO2 causerà danni globali per più di un secolo, specialmente alle popolazioni del pianeta più povere ed esposte. Grazie alle migliorie tecniche, la singola automobile è diventata "un po’ meno sporca". A trasformarla in "auto pulita" sono stati però i miliardi spesi in marketing, lobby, avvocati, finanziamenti ai partiti e uomini politici e - come emerge ora - in attività criminali di inganno deliberato.
La farsa delle misurazioni dei gas di scarico
"Una farsa" sono definite dall’Economist (26.9.2015) le regole europee per misurare in garage le emissioni delle automobili. Questi test truffaldini sono concepiti dagli stessi costruttori a loro vantaggio e adottati dall’Ue sotto pressione dei governi dei paesi con una più forte industria automobilistica. E’ questo il vero scandalo dell’ "auto pulita", già denunciato negli ultimi vent’anni da enti indipendenti come il Wuppertal Institut e da associazioni per la salute e per l’ambiente. Il software imbroglione di Volkswagen è solo una goccia che ha fatto traboccare il vaso.
La svolta dell’auto: nuove tecnologie e nuova sobrietà
Una vera svolta verso una mobilità sostenibile avverrà solo quando i motori elettrici sostituiranno il motore a combustione, ma solo se saranno alimentati da elettricità prodotta da fonti rinnovabili. Entrambe queste prospettive sono meno lontane di quanto si pensava. Nondimeno, poiché anche le fonti rinnovabili hanno costi ambientali e sociali, anche il loro uso va moderato. Pur con le future auto elettriche occorreranno quindi cambiamenti di comportamento: quando possibile, non possedere un veicolo, quando mezzi più efficaci sono disponibili percorrere meno chilometri in auto, viaggiare a minore velocità, preferire auto meno potenti, più leggere e più piccole. Questi cambiamenti possono essere fatti da ognuno già domani, senza aspettare le auto elettriche. Avete notato che Francesco, il papa della prima enciclica "ecologica", fa un uso sistematico di vetture utilitarie?
Si scopre in questi giorni che il più grande costruttore di automobili del mondo ha truffato clienti e autorità con un software che indicava durante i test di conformità emissioni molto più basse di quelle reali. Tuttavia, come scrive l’Economist in copertina ("I segreti sporchi dell’industria automobilistica" 26.9.2015), sotto accusa è l’intera industria dell’auto e il presunto "segreto" su quanto realmente sporche siano le emissioni delle automobili. A incrinarsi ora sui media mondiali non è solo la reputazione di Volkswagen, ma è il mito dell’"auto pulita".
Un "tigre nel motore" e aria pulita dallo scarico?
Come abbiamo potuto credere di poter avere un tigre nel motore e aria pulita dal tubo di scappamento? Le migliorie tecniche antinquinamento non cambiano le leggi della chimica: da carburanti sporchi non si possono ottenere emissioni "pulite" e la massima forza motrice. A causa dei gas di scarico delle auto "pulite" centinaia di migliaia di persone muoiono ogni anno, decine di milioni si ammalano, i cambiamenti climatici e i loro effetti deleteri sono accelerati. Il motore a combustione interna fu tecnicamente geniale, ma condusse la motorizzazione di massa in un vicolo cieco. Cento anni fa mancavano la cultura e la scienza per pensare alle sue conseguenze sull’ambiente e la salute. Il suo pioniere, Karl Benz, riteneva che in Germania le automobili non sarebbero mai state più di qualche migliaio. Chi immaginava un miliardo di auto in circolazione? I gas di combustione scompaiono nell’aria senza tracce, diceva l’industria automobilistica quando ne circolavano pochi milioni. Quando si capì che non era così, il suo potere economico, politico e culturale era tanto cresciuto da metterla al riparo da tutto. Fino ad oggi.
Un Computer con le ruotenel nostro futuro
Vent’anni fa i più alti fatturati mondiali erano delle aziende del petrolio e delle automobili, oggi sono delle aziende di hardware e software. Alcune di loro stanno progettando le prossime generazioni di automobili. L’auto del futuro sarà un computer con le ruote, non un panzer carico di gadget elettronici, diceva il tecnologo statunitense Armory Lovins. Daniel Goeudevert, il francese ex professore di lettere, alla testa di Volkswagen dal 1991 al 1993, diceva che i quadri dell’industria dell’automobile son prigionieri di schemi mentali praticati per un secolo. Le soluzioni per un’automobile sostenibile - diceva - non verranno dalla stessa industria che per cento anni ne ha sviluppata una insostenibile. Per questo Goeudevert avviò insieme a Swatch il progetto di una "Swatchmobil" rivoluzionaria. Insieme a lui ne era l’artefice Nicolas Hayek, il visionario industriale che aveva fatto rinascere l’orologeria svizzera inventando lo Swatch, un orologio più semplice e più leggero. Il contrario di ciò che fanno gli ingegneri automobilistici, con macchine sempre più pesanti e più complicate.
Il vicolo cieco del motore a combustione interna
I motori a combustione bruciano ogni anno miliardi di tonnellate di derivati del petrolio, costituiti da miscele di migliaia di sostanze. La loro combustione produce altre migliaia di sostanze, in parte ignote, in parte notoriamente nocive per la salute e l’ambiente. Leggi e misurazioni riguardano solo una manciata di queste: CO2, CO, ossidi di azoto, ossidi di zolfo, polveri sottili. Mentre per autorizzare o vietare l’uso di un nuovo farmaco servono anni di ricerca sui suoi effetti e rischi, nessuna ricerca fu fatta quando si cominciò a bruciare i derivati del petrolio nelle automobili. La loro diffusione di massa divenne il tramite involontario per esporre i polmoni di miliardi di persone a una miscela di sostanze indesiderabili. Gli studiosi hanno accertato che miliardi di tonnellate di gas di scarico emessi ogni anno nuocciono a salute, flora, fauna, ecosistemi, clima, edifici e monumenti. Eppure si crede ancora all’auto "pulita". E’ vero: sotto la pressione di scienziati e organizzazioni di cittadini, l’industria riuscì a ridurre le emissioni di alcune delle sostanze nocive. Parte di questa riduzione però è vanificata dall’aumento delle auto in circolazione e dei chilometri percorsi. Per ogni litro di carburante sono emessi alcuni grammi di sostanze nocive localmente, ma due chili e mezzo di CO2, innocua localmente, ma nociva globalmente. L’aumento della sua concentrazione nell’atmosfera, infatti, è la causa principale dei mutamenti climatici provocati dall’uomo. Quando è nuova di fabbrica, la moderna automobile emette meno inquinanti locali di una volta. Tuttavia i suoi catalizzatori non possono diminuire le emissioni di CO2, che sono proporzionali alla quantità di carburante bruciato.
Aria più pulita in città, clima più instabile nel mondo
Automobili "meno sporche" hanno un paradossale effetto rebound (rimbalzo). I clienti le comprano e usano più volentieri. In città ne posso circolare di più senza soffocare la popolazione. Così, erroneamente, non ci si preoccupa se il loro peso, la loro potenza, il loro numero, i chilometri percorsi, e quindi anche il consumo complessivo di carburante dell’intera flotta crescono. In altre parole, paghiamo con più inquinamento globale (la CO2), una certa riduzione dell’inquinamento locale. Il beneficio di un’aria meno inquinata è qui e ora. Mentre si ritiene che l’alterazione climatica dovuta alla CO2 causerà danni globali per più di un secolo, specialmente alle popolazioni del pianeta più povere ed esposte. Grazie alle migliorie tecniche, la singola automobile è diventata "un po’ meno sporca". A trasformarla in "auto pulita" sono stati però i miliardi spesi in marketing, lobby, avvocati, finanziamenti ai partiti e uomini politici e - come emerge ora - in attività criminali di inganno deliberato.
La farsa delle misurazioni dei gas di scarico
"Una farsa" sono definite dall’Economist (26.9.2015) le regole europee per misurare in garage le emissioni delle automobili. Questi test truffaldini sono concepiti dagli stessi costruttori a loro vantaggio e adottati dall’Ue sotto pressione dei governi dei paesi con una più forte industria automobilistica. E’ questo il vero scandalo dell’ "auto pulita", già denunciato negli ultimi vent’anni da enti indipendenti come il Wuppertal Institut e da associazioni per la salute e per l’ambiente. Il software imbroglione di Volkswagen è solo una goccia che ha fatto traboccare il vaso.
La svolta dell’auto: nuove tecnologie e nuova sobrietà
Una vera svolta verso una mobilità sostenibile avverrà solo quando i motori elettrici sostituiranno il motore a combustione, ma solo se saranno alimentati da elettricità prodotta da fonti rinnovabili. Entrambe queste prospettive sono meno lontane di quanto si pensava. Nondimeno, poiché anche le fonti rinnovabili hanno costi ambientali e sociali, anche il loro uso va moderato. Pur con le future auto elettriche occorreranno quindi cambiamenti di comportamento: quando possibile, non possedere un veicolo, quando mezzi più efficaci sono disponibili percorrere meno chilometri in auto, viaggiare a minore velocità, preferire auto meno potenti, più leggere e più piccole. Questi cambiamenti possono essere fatti da ognuno già domani, senza aspettare le auto elettriche. Avete notato che Francesco, il papa della prima enciclica "ecologica", fa un uso sistematico di vetture utilitarie?
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1.10.15
PERCHÉ IL SINDACO MARINO È SOTTO ATTACCO E PERCHÉ BISOGNA ASSOLUTAMENTE DIFENDERLO
Perché sparano tutti contro il sindaco di Roma? Come mai da qualche mese a questa parte lo sport preferito di intere bande di editorialisti e twittaroli è prendere a pallate incatenate Ignazio Marino? Come mai a queste masse agitate ha fornito una sponda, assestando lui stesso fendenti micidiali, persino il “misericordioso” papa Francesco? Se provi a chiedere a qualcuno dei vessatori quotidiani di Marino, siano essi editorialisti o gestori di potenti siti internet, ti rispondono che la colpa è del sindaco, che non sa comunicare. Il che è abbastanza prevedibile: ogni aggressore giustifica le proprie azioni accusando la vittima: è lei che le botte “se le va a cercare”. Oppure indicano un cassonetto pieno o un autobus in ritardo e dicono: “Vedi? Marino se ne deve andare”.
In realtà i motivi dell’aggressione quotidiana contro Marino sono altri. Il motivo principale, quello che muove le grandi masse urlanti, è che picchiare Marino è facile. Marino è un “soft target”, uno che si può massacrare tranquillamente. Marino è la cuccagna dei vigliacchi da scrivania: lo possono sbertucciare sui giornali senza paura, perché nessuno telefonerà il giorno dopo per minacciare il loro editore. Anzi: saranno in molti a brandire i loro editoriali come scimitarre per chiedere la rimozione del sindaco. E i cittadini di Twitter, che dei giornali leggono solo i titoli si uniscono volentieri al pestaggio, così, perché lo fanno tutti.
Il secondo motivo per cui Marino si può picchiare è che si è fatto molti nemici. E ai vigliacchi piace far parte del branco, specie se del branco fanno parte personaggi non particolarmente belli a vedersi. Chi detesta Marino è per esempio l’ex sindaco Gianni Alemanno, quello che gli ha lasciato in eredità una città sull’orlo del collasso, quello che rimpinzò l’Atac, l’azienda comunale dei trasporti, di parenti e amici, portandola quasi alla bancarotta. Fra chi vorrebbe cacciare Marino ci sono poi i Casamonica, quelli del funerale coatto che ha sputtanato la città davanti al mondo, per colpa di gravi omissioni da parte delle forze dell’ordine, che sapevano e non fecero nulla. Le forze dell’ordine, sia detto per inciso, fanno capo al prefetto Franco Gabrielli, è lui il responsabile del disastro dei Casamonica, come ha del resto ammesso lui stesso. Ma Gabrielli non si tocca: lui i protettori ce li ha.
A proposito di “mondo di mezzo”, Marino è certamente visto come il fumo negli occhi dai mafiosi di Mafia Capitale. Da quando c’è lui, per i criminali gli affari vanno a rotoli. Non riescono più a piazzare nessuno dei loro in Campidoglio, non riescono a condizionare gli appalti, hanno grosse difficoltà ad entrare nelle stanze dei dirigenti comunali, come facevano un tempo, e a far capire chi è che comanda. Insomma: non comandano più e quelli sono personaggi con i quali è meglio non scherzare. Infatti a Marino, che aveva cominciato a fare il sindaco girando in bicicletta, da molti mesi è stata assegnata dal Ministero dell’Interno una scorta.
Fra gli altri nemici di Marino ci sono alcune fra le famiglie più potenti di Roma, come la famiglia Tredicine, quella che gestisce gli orribili camion bar che Marino ha fatto sgomberare dal Colosseo e da altre fra le più belle attrazioni turistiche di Roma. Mettrersi contro questi signori, fra l’altro ampiamente rappresentati in Campidoglio, è un gesto di grande coraggio, che nessuno fra i predecessori di Marino aveva mai compiuto, a cominciare dai due recenti sindaci più famosi e acclamati: Veltroni e Rutelli. Adesso il Colosseo lo si può finalmente ammirare in tutto il suo splendore, non più impallato dai camion bar. Una gioia da assaporare magari dopo una passeggiata sull’ultimo tratto di via dei Fori Imperiali, resitituita finalmente sempre di più al traffico pedonale (altra coraggiosa iniziativa che ha mandato su tutte le furie i commercianti e i residenti, molto potenti, della zona).
L’elenco dei nemici di Marino potrebbe continuare a lungo: ci sono le potenti famiglie di Ostia che avevano cementificato abusivamente il lungomare e che si sono trovate una mattina le ruspe mandate da Marino a restituire la spiaggia ai romani. O coloro che lucravano sulla discarica di Malagrotta, un orribile monumento all’inquinamento e al degrado, che Marino, dopo anni di sindaci indecisi, ha chiuso, raddoppiando allo stesso tempo la raccolta differenziata. O le potenti ditte abusive che infestavano la città con enormi cartelloni pubblicitari. Marino ha persino messo mano agli affitti degli alloggi comunali, rimettendo in discussione casi di gente che pagava poche decine di euro al mese per appartamenti in pieno centro e mettendo in vendita ben 600 appartamenti. E ha deciso di far lavorare di più i macchinisti della metro, costringendoli a “strisciare” il badge a inizio e fine turno, come nei paesi civili.
Contro Marino c’è poi ovviamente il PD romano, infiltrato da personaggi inquietanti e contingui alle opache pratiche del malaffare di Mafia Capitale e dunque sciolto da Matteo Renzi e commissariato con Matteo Orfini. Con la vittoria di Marino, i potentati del PD romano si erano già messi il tovagliolo ed erano pronti a sedersi a tavola. Ma il sindaco li ha sbattuti fuori, forte del mandato popolare diretto. Chi sperava di fare l’assessore si è dovuto accontentare di un seggio in consiglio comunale, chi sognava la poltrona di amministratore di una municipalizzata è rimasto a casa. Qualcun altro, nel frattempo, è finito in galera. Tutte persone con amicizie molto in alto, tutte persone che gliel’hanno giurata.
Fra i nemici più illustri di Marino c’è poi lui, il più potente di tutti: Matteo Renzi. Il presidente del Consiglio non ama Marino, e non capiamo perché. Il sindaco di Roma è in realtà il più renziano dei primi cittadini. Da quando è stato eletto ha preso le sue decisioni senza guardare in faccia nessuno, ha sbaragliato i centri di potere, ha avviato politiche di lungo termine, ha preso decisioni impopolari. Ha “cambiato verso” e ne sta raccogliendo i frutti, se è vero che solo la scorsa settimana Fitch ha detto che finalmente, dopo tre anni, i conti di Roma stanno tornando in ordine. Ma a Renzi Marino non piace, e questo facilita ovviamente il compito dei picchiatori mediatici. Se l’imperatore mostra il pollice verso, i leoni (che in realtà sono conigli) possono partire all’attacco.
E veniamo all’ultimo dei nemici che Marino si è fatto, che poi è il più grosso: il Vaticano. E qui il piccolo sindaco di Roma si è messo contro un gigante contro il quale nessuno aveva mai osato mettersi. Come mai Marino è inviso a Papa Francesco? Qui Filadelfia non c’entra nulla. Marino è malvisto dalla Curia per la sua storia, passata e presente. Da politico, Marino si batté con coraggio a favore del referendum sulla procreazione medicalmente assistita eterologa. Pochi se lo ricordano, ma quella di Marino e altri fu una battaglia di civiltà osteggiata con forza dal Vaticano e purtroppo persa per il non raggiungimento del quorum al referendum del 2005.
Ma non finisce qui. Poco dopo il suo insediamento, Marino istituì il registro comunale per le unioni civili, accogliendo anche coppie dello stesso sesso, proprio mentre si concludeva in Vaticano il sinodo sulla famiglia. Un’iniziativa simbolica, che provocò anche aspri contrasti con l’attuale ministro dell’Interno, Alfano, ma che fu uno dei pochissimi riconoscimenti della dignità delle coppie gay. Non contento, Marino ha poi nel giugno scorso apertamente patrocinato il Gay Pride a Roma. Va ricordato in proposito che, nel 2000, l’allora sindaco Rutelli patrocinò dapprima il Gay Pride, ma fu costretto poco prima della giornata a ritirare il patrocinio. Marino non solo non ha ritirato il patrocinio, ma si è persino messo in testa al corteo, il 13 giugno scorso. E vedere quella fascia tricolore sfilare a pochi metri dal Cupolone insieme alle bandiere arcobaleno deve aver provocato più di un travaso di bile nelle segrete stanze del Vaticano e più di una preoccupazione per la “cattolicità” dell’imminente Giubileo.
Si arriva così alla trasferta di Filadelfia. I fatti sono noti: in giugno il sindaco di Filadelfia, Michael Nutter, e l’arcivescovo, Charles Chaput, volano a Roma per preparare la visita del Papa di settembre. Vogliono capire dagli esperti comunali come organizzarsi. Marino li riceve e Nutter lo invita a Filadelfia per una serie di iniziative in concomitanza con la visita del Papa. Marino annuncia la trasferta, specificando che i costi non saranno a carico dell’Amministrazione capitolina e che l’invito viene dal suo collega sindaco. Pochi giorni fa, come annunciato, Marino vola prima a New York, poi a Filadelfia, dove partecipa a diverse riunioni ed eventi, fra cui la messa del Papa in occasione del World Meeting of Families.
E siamo al redde rationem. Durante il viaggio di ritorno del Papa, a nome dei giornalisti italiani al seguito, il giornalista di SkyNews24, Stefano Maria Paci, gli rivolge una domanda molto scorretta. Eccola:
“Ci tolga una curiosità. Il sindaco Marino, sindaco di Roma, città del Giubileo, ha dichiarato che è venuto all’incontro conviviale delle famiglie, alla messa, perché è stato invitato da lei. Ci dice com’è andata?”.Notate come il giornalista inserisca nella sua domanda al Papa una vera e propria menzogna, quando afferma: “Il sindaco Marino ha dichiarato che è stato invitato da lei”. Mai, in nessuna occasione, Marino ha detto di essere stato invitato dal Papa. Anzi: ha sempre specificato che l’invito a Filadelfia gli era stato rivolto dal sindaco di quella città. E’ abbastanza incredibile che giornalisti professionisti compiano una scorrettezza simile, fra l’altro rivolgendosi ad una delle persone più influenti della Terra. Il Papa non può ovviamente sapere cosa abbia detto o non detto Marino, ma non sembra dispiaciuto dalla domanda. Ecco cosa risponde:
“Io non ho invitato il sindaco Marino, chiaro? Ho chiesto agli organizzatori e neanche loro lo hanno invitato. Chiaro? È venuto… lui si professa cattolico: è venuto spontaneamente”Il colpo è micidiale e l’effetto politico che ne segue devastante. I siti internet (a parte La Stampa) mettono in rete solo la risposta del Papa, non la domanda, facendo credere surrettiziamente che la precisazione sia un’iniziativa di Bergoglio. Il video del Pontefice in aereo col microfono che dileggia Marino, in un colpo solo, fa contenti: i Casamonica, Gianni Alemanno, Matteo Salvini, Giorgia Meloni, la famiglia Tredicine, la lobby dei commercianti dei Fori Imperiali, il PD romano commissariato e ciò che resta di Mafia Capitale. Si stappa lo champagne. Partono i tweet e partono le paginate sui siti, ma soprattutto si mettono in moto le tastiere dei picchiatori. Il Papa tiene fermo Marino e loro possono pestarlo a sangue: dài ché ci divertiamo. Si impaginano i pezzi dei vari Merlo, Tucci, per non parlare di Giordano e Tramontano. E’ una festa: la character assassination impazza. Tutti a scrivere che il Papa smentisce e sbugiarda Marino, quando è ovvio che il Papa non ha smentito nulla, perché Marino mai aveva detto di aver ricevuto inviti dal Papa. La replica di Marino viene nascosta in poche righe, nessuno la vede. La gogna è scattata, chi vuole può avvicinarsi a scagliare la sua pedata.
Pochissimi scelgono di ragionare con la propria testa. Fra questi, Massimo Gramellini, sulla Stampa, e Francesco Oggiano, su Vanity Fair. Intervengono per ristabilire la verità opinionisti noti come Stefano Menichini e Chiara Geloni. Ma le loro voci, per quanto forti, sono surclassate dalle grida sguaiate dei pecoroni da tastiera.
Il colpo è assestato, Oltretevere qualcuno forse sta brindando. O forse no, sta di fatto che il Papa è ormai ufficialmente collocato fra quanti vogliono togliere di mezzo il sindaco di Roma.
Resisterà Marino, sindaco da poco più di due anni, all’attacco concentrico dei suoi tanti nemici, con l’appoggio di fatto di chi a Roma regna da una ventina di secoli? Non lo so. So che questo sindaco è stato eletto con il 60% dei voti dei romani, che hanno diritto di vedere rispettato il proprio voto. So anche che Marino ha difetti, come tutti, ma nonostante la stampa e la tv facciano finta di non vedere, sta portando avanti riforme coraggiose e provvedimenti importanti e che la città, lasciata dalla destra in condizioni drammatiche, sta migliorando. Marino è un argine fragile all’arroganza e alla protervia di chi, da varie angolazioni, vorrebbe tornare a decidere cosa deve e non deve essere fatto a Roma, infischiandosene dei romani e di quello che essi stessi hanno scelto. Per questo Marino ha il dovere di resistere e andare avanti, se ce la fa. E chi se la sente ha il dovere di difenderlo.
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