20.5.05

Tutti sulle orme di Caino e Edipo

SENSO DI COLPA E RESPONSABILITÀ

di Elena Loewenthal

Malgrado la distanza, le due storie hanno molto in comune. Caino uccide il fratello in preda a un accesso di ira ma anche di ottusa, irrefrenabile gelosia. Prima ancora che lo scontro fra due civiltà primordiali, l'una pastorale e l'altra agricola, l'episodio biblico è il dramma di due fratelli. In un altro angolo del mondo, Edipo inconsapevole uccide il padre e sposa la madre: con ciò abbraccia un fato che è al tempo stesso demiurgo e tragica predestinazione. Questi due delitti sono all'origine dell'umanità, sono una specie di zoccolo duro delle emozioni, perennemente latente nell'inconscio.

Al di là della distanza che separa questi due eroi in negativo, c'è un tratto comune e fondamentale che li unisce: quando il Signore interroga Caino su dove sia suo fratello, questi ribatte, con una tremebonda alzata di spalle, «sono forse il custode di mio fratello?». Dal canto suo, nel momento in cui sa, in cui conosce il proprio destino, Edipo si acceca. Entrambi rifiutano la responsabilità, rinnegano ciò che è stato commesso, vuoi con le parole vuoi con un gesto terribile contro se stessi, che non è espiazione bensì rifiuto della realtà. Tale rifiuto è la radice del senso di colpa, che è il rovescio della medaglia della responsabilità.

A questo tema antico quasi quanto il mondo, ma così lento ad affiorare alla coscienza - ci son voluti millenni, e c'è voluta l'incoscienza coraggiosa dell'inventore della psicoanalisi... - è dedicato un corposo volume in uscita presso Bruno Mondadori. Si tratta di L’interpretazione della colpa, la colpa dell'interpretazione, a cura di Marco Francesconi. Il chiasmo del titolo richiama i due fronti di questa miscellanea: dapprima una rassegna interdisciplinare sul concetto di colpa nelle religioni e nelle teorie laiche, e poi due sezioni dedicate all'interpretazione della responsabilità e a quella della colpa.

Freud stesso, cita Paolo D'Alessandro nel suo saggio, sostiene che è «difficile dar conto in modo adeguato del fenomeno del sentimento di colpa. Si giunge ad averlo, perché si riconosce di aver fatto (o anche solamente pensato) qualche cosa di male, esprimendo un giudizio sulla scorta di una (presunta) capacità di discernere il bene dal male... Quel che matura come istanza interna ha poi una sua proiezione esterna, nel nome della legge e dell'autorità di un Dio». La psicoanalisi ci insegna, però, che il più delle volte il senso di colpa non è la conseguenza di un male commesso o pensato, ma sta invece a monte. È, in sostanza, il principio rimosso, il nucleo inconscio di un nostro modo di pensare o di agire. Che ha per conseguenza la violenza verso noi stessi e gli altri: scontando insomma le malefatte di Caino e Edipo, finiamo di ritrovarci sulle loro orme. E la colpa è davvero un modello ancestrale delle nostre emozioni, dal quale è arduo affrancarsi.

Per usare un linguaggio più acconcio, ricavato dalla psicoanalisi, la colpa è la manifestazione di quell'aggressività primaria cui l'uomo ha risposto, a un certo punto della sua storia, con l'invenzione del sacro. Ma è anche una costante storica, come rilevano alcuni dei saggi qui presentati: ne parlano ad esempio Luisa Accati e Mauro Pasqua. Giovanni Foresti pone invece l'accento sulla delicata distinzione fra peccato, sofferenza e colpa.
«Se proprio dobbiamo parlare di male, sarebbe meglio distinguere almeno il male commesso dal male subito», che sono effettivamente due categorie ontologiche diverse, cui bisognerebbe anche trovare due nomi diversi. Anche la colpa è sofferenza, ma una sofferenza dalla natura del tutto particolare, distinta da quella che procura tanto il male subito quanto quello commesso (se mai).
Inutile? Dannoso? Liquidare il senso di colpa sarebbe comodo, e fors'anche provvidenziale. Ma esso è così radicato nelle culture e nella coscienza, che l'impresa ha un che di messianico. Forse bisognerebbe cominciare da una educazione al valore della responsabilità, che è il suo unico, efficace antidoto.

lastampa.it 19 maggio 2005

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