25.10.05

Con Bret Easton Ellis tra colpa e paura

HORROR PASTICHE

Materia di incubi LO SCRITTORE AMERICANO diventato celebre con American Psycho presenta il suo ultimo romanzo, Lunar Park. Del protagonista della sua storia di spettri dice: «Ho visto coi miei occhi la figura di Patrick sovrapporsi inesorabilmente a quella di Bret Easton Ellis. Quando morirò, i nostri nomi rimarranno accoppiati per sempre»

EMANUELE TREVI

Gli incubi, sembra volerci avvertire Bret Easton Ellis fin dalle prime pagine di Lunar Park (appena uscito da Einaudi per l'ottima traduzione di Giuseppe Culicchia, pp.336, euro 18,00) non finiscono mai. Più di ogni altra forma di attività onirica, manifestano quella che Roger Caillois, in un saggio memorabile, definiva l'incertezza dei sogni. Con sollievo, pensiamo di esserci risvegliati, di avere imboccato l'uscita giusta per ritornare al nostro consueto piano di realtà - e invece, questo finto «risveglio» è solo uno dei tanti trucchi dell'incubo, forse il più inquietante e doloroso. E se i libri, se certi libri sono intessuti della stessa materia degli incubi, allora la parola fine, che leggiamo nell'ultima pagina non è altro che un'illusione, un esorcismo troppo debole per risultare, alla lunga, efficace. Così, la prima notizia che ci viene da Lunar Park è che, a circa quindici anni da American Psycho Patrick Bateman, il serial killer che si aggirava tra le ombre di New York con i suoi completi di Armani chiazzati del sangue delle vittime, è ancora tra noi. Altro che simbolo di un'epoca - i ruggenti anni `80 con tutti i loro feticci griffati e la loro oscura, inconfessabile sete di violenza impastata all'avidità economica e al culto dei simboli del benessere. Con quel libro, lo scrittore non ancora trentenne (e già celebre per Meno di zero e Le regole dell'attrazione) aveva visto aumentare vertiginosamente il suo prestigio e i suoi guadagni, vantaggi abituali di ogni scandalo letterario che si rispetti, capace di trasformare anche la più violenta stroncatura in un potente alleato del marketing. Ma quando American Psycho arrivò in Italia, ancora puzzolente di zolfo e in una traduzione inadeguata, fu abbastanza facile, per molti di noi, accorgersi che, ben più potente del rumore giornalistico di fondo, in quelle pagine vibrava la qualità inconfondibile del capolavoro.

Il successo mondano e i reali meriti artistici sono due cose inconciliabili solo agli occhi prevenuti degli sciocchi e dei moralisti. In realtà, ci spiega Ellis in Lunar Park, si tratta di due maniere diverse di indicare quei vantaggi illusori che in ogni fiaba si ottengono infrangendo un interdetto, e che poi, da vantaggi che erano, si trasformano in autentiche maledizioni. Come un incauto apprendista stregone, Ellis, dando forma a Patrick Bateman, aveva evocato uno spettro troppo pericoloso, illudendosi di poterlo ammansire, esorcizzare tramite una semplice convenzione letteraria: un romanzo di successo. È questa colpa che il nuovo romanzo si incarica di descrivere in tutte le sue conseguenze: ed è abbastanza naturale, in fin dei conti, che il ritorno indesiderato di uno spettro emerso dalle pagine di un libro sia raccontato ricorrendo a un geniale pastiche di tutte le convenzioni dell'horror, dalla casa infestata all'innocuo giocattolo abitato da un demonio, nel contesto di un tranquillo suburbio per ricchi progressivamente minacciato dalle tracce del male. E lo strumento narrativo preferito da Ellis, la prima persona, è sì l'unico possibile per un racconto che si dichiara veritiero come un memoir, il cui protagonista è lo scrittore in persona, ma nello stesso tempo risulta straordinariamente adeguato alla miscela di colpa e paura che pervade inesorabilmente le pagine di Lunar Park.

È proprio dall'horror che iniziamo la nostra conversazione. E dal suo saldarsi, in Lunar Park, con i più scoperti e spudorati argomenti di una confessione autobiografica a tutto campo: sollecitando all'estremo la linea di confine tra il verosimile e l'assurdo, la finzione più arbitraria e il nudo referto esistenziale, che sembrano alleati allo scopo di disorientare i lettori fino all'ultima pagina, e ancora oltre. Nessuna cornice è più adeguata al nostro incontro del sontuoso bar liberty dell'hotel Principe di Savoia di Milano. Lo stesso albergo di lusso dove si aggirava, sempre più sperduto nel suo delirio e nel complotto terroristico che lo coinvolge, Victor Ward, il protagonista del penultimo romanzo di Ellis, Glamorama. Come se anche questa intervista fosse risucchiata e inclusa nell'ambiguo gioco di specchi che dà forma e sostanza alla letteratura di Ellis, fin dai suoi inizi. Pallido, elegante, gentilissimo, Ellis, che da poco ha passato i quarant'anni, non ha perso certi irresistibili tratti espressivi (un certo modo di sorridere, l'ironia dello sguardo) del ragazzino astuto e benestante dei suoi sfolgoranti esordi. Prima di dedicarsi all'intervista, si fa prendere le misure da due ragazzi inviati da una grande griffe milanese, che intende regalargli un vestito.

In Lunar Park non si contano le allusioni alla grande tradizione dell'horror americano. Ho notato molti omaggi a Stephen King, e in particolare a un romanzo come Pet semetary, la storia di una famiglia che va ad abitare in una casa costruita su un antico cimitero indiano, con le conseguenze che si possono immaginare...

King è una mia lettura dell'infanzia e dell'adolescenza, sento ancora oggi lo straordinario potere narrativo di molti suoi libri. Di una sua valutazione in termini estetici e letterari invece non me ne è mai fregato nulla, sarei totalmente incapace di darne un giudizio critico.

Naturalmente, accanto alla scrittura di King c'è in Lunar Park anche molto cinema: penso per esempio all'accento drammatico che un Wes Craven mette sul passaggio dal giorno alla notte, indugiando a lungo sui tramonti per farci capire che stanno per ricominciare i guai.

In generale, la scansione temporale di questo libro è molto importante, e mi ha posto dei problemi del tutto inediti, anche se non è certo la prima volta che racconto una storia in prima persona. Non è tanto il fatto che qui il protagonista si chiama, in effetti, Bret Easton Ellis, c'è qualcosa di più. Negli altri miei libri, il protagonista parla sì in prima persona, ma scopre via via, non diversamente dal lettore, quello che succede, come in un diario. Qui invece l'eroe racconta la storia dopo i dodici giorni di incubo che ha vissuto, e addirittura si permette delle anticipazioni. È una tecnica narrativa del tutto differente. Ma è così che funzionano le storie di fantasmi.

Come in Glamorama, anche in quest'ultimo romanzo, dopo una sorta di prologo autobiografico, l'azione prende le mosse da una festa. Forse nessuno scrittore contemporaneo ha sviluppato con tanta densità questa specie di «estetica del party», che ha un sapore antico, alla Fitzgerald, sfruttando al massimo le potenzialità narrative insite in questa particolare situazione.

Beh, non avrei mai voluto specializzarmi in questo argomento, ma alla fine è andata così. La circostanza dipende anche dall'età e dal temperamento dei miei personaggi: gente che tira tardi, e appunto, frequenta feste. Personalmente, posso dire di essere entrato in una fase della mia vita in cui queste cose mi interessano un po' meno. Devo aggiungere che la descrizione di una festa è veramente difficilissima: più di quella del sesso, mettiamo, o di una situazione paurosa. Però, la fatica è ripagata dal fatto che sarebbe difficile trovare un'altra situazione narrativa così aperta e disponibile alla convivenza e all'interazione di tanti personaggi quanti sono quelli che possono partecipare a una festa.

In quest'ultimo party appare anche il tuo amico e collega Jay MacInerney: fatto di coca, alla fine si fa trovare nudo in piscina... come l'ha presa ?

Malissimo! Era così incazzato che alla fine ha deciso di fare finta di non aver letto il libro. Ma abbiamo la stessa editor, e so per certo che non è vero.

Parliamo un po' di Patrick Bateman, l'indimenticabile protagonista di American Psycho che appare di sfuggita anche in Glamorama, con il solito completo firmato, macchiato di sangue umano fresco. Qui in Lunar Park Bateman irrompe con la carica devastante di uno spettro del passato giunto per vendicarsi...

In Glamorama, l'apparizione di Bateman era un semplice scherzo, una strizzata d'occhio ai fan, niente di più. In Lunar Park intendevo riflettere proprio sulla mancanza di controllo effettivo sul personaggio da parte dello scrittore. Per fare questo, uso una storia di spettri, ma questa perdita di controllo l'ho effettivamente verificata nella mia esistenza. In altre parole, ho visto coi miei occhi la figura di Patrick sovrapporsi progressivamente e inesorabilmente a quella di Bret Easton Ellis. Sono sicuro che quando morirò, sui titoli dei giornali i nostri nomi rimarranno accoppiati per sempre, così come sono sicuro che mai mi capiterà di dare vita a un personaggio che sia così integralmente l'icona di un'intera epoca. In Lunar Park, Bateman ha anche una valenza di metafora più generale, qualcosa che riguarda l'identità nel suo rapporto fondamentale con il passato. Come è possibile liberarsene ?

In Lunar Park la scintilla del terrore si accende durante la festa iniziale, quando arriva, non invitato da nessuno, uno studente travestito da Bateman (è la sera di Halloween), e dunque somigliante a Bateman. Anche in American Psycho e poi in Glamorama il concetto di somiglianza è fondamentale, tanto che un'intera antropologia pare fondarsi sul fatto che, nella New York di Patrick e poi in quella di Victor, tutti assomigliano a tutti. Sembra solo una brillante trovata sociologica, un tratto di storia del costume. E, invece, in Lunar Park pare proprio che a essere interrogato sia il lato oscuro, macabro, ripugnante della somiglianza...

In questi termini non ci avevo mai pensato, ma è possibile. Nei primi due romanzi, però, la prospettiva mi sembra diversa: quello che mi interessava far vedere è che in un mondo dove tutti indossano gli stessi vestiti, consumano gli stessi cibi e le stesse droghe, insomma sanno le stesse cose, è più facile per il malvagio nascondersi, come un animale ben mimetizzato nell'ambiente circostante. In Lunar Park sono stato attratto da altri temi, e fondamentalmente dai processi che costituiscono l'identità.

A proposito di identità: nel libro c'è il Bret personaggio, per chiamarlo così, colui che affronta l'avventura, e, dentro di lui, lo «scrittore» che gli suggerisce ulteriori prospettive, spesso lo deride, lo disorienta. Ma, a conti fatti, cioè a libro finito, chi ne sa di più, tra i due?

Con lo «scrittore» che è in me parlo tutti i giorni, in pratica nella stessa maniera che si può vedere nel libro. Lui è foriero di tutte le buone idee, certamente, e questo è importante. Ma è anche cattivo, tutte le sue prospettive derivano da questa congenita malvagità.

Jayne, la moglie del protagonista del romanzo (che avrà amato il suo ritratto ancor meno di MacInerney) percepisce con particolare acutezza e dispiacere questo sdoppiamento.

Può essere vero: questa donna ama l'uomo e odia lo scrittore. Vorrebbe indurre il primo a vivere normalmente, prendendosi cura di loro figlio, mentre lo scrittore è infedele, tossico, fondamentalmente inaffidabile. Eppure io mi dico sempre: se non ci fossero stati l'alcol, la droga, gli psicofarmaci... chissà. Il fatto è che non si può amare selettivamente, una persona va accettata al cento per cento. A differenza di quanto accade nelle normali fiabe horror, nella mia, alla fine, la famiglia va in in frantumi. Il fatto è che loro due non avevano nemmeno deciso di avere un figlio, e si sono usati a vicenda...

Un'ultima curiosità: a un certo punto del libro racconti di un invito alla Casa Bianca, da parte di Jeb e George W.Bush, allora figli del presidente. Con tutte le condanne a morte che hanno firmato, non mi stupirebbe scoprirli fan di Bateman, che in confronto a loro è un vero pivello...

No, no, l'invito risale a prima, era il 1986, a loro era piaciuto Meno di zero, come mi aveva detto l'incaricato del protocollo che mi ha recapitato l'invito. Era una cena del sabato sera. Ma alla fine non ci sono andato, e non per nobili motivi politici. Semplicemente perché avevo ventidue anni e quella sera volevo andare in un altro posto, un posto che mi interessava di più. Adesso, un po' me ne pento: poteva essere una serata interessante.

ilmanifesto.it

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