24.10.05

I consigli di Caino. E quelli di Abele

di Aldo Grasso
Ci risiamo. Silvio Berlusconi vede nemici ovunque, specie fra i comici. E perché non ci siano equivoci ha anche fatto nomi e cognomi: Serena Dandini, Sabina Guzzanti, Gene Gnocchi, Enrico Bertolino, Dario Vergassola, Corrado Guzzanti, «e altri che cerco di non tenere a mente». Meno male, altrimenti non gli basterebbero le pagine gialle. Erano solo comici, alcuni bravi, altri meno: adesso sono eroi, martiri, vittime del tiranno.
Quanto resiste il premier a non occuparsi di tv? Un giorno, due, tre? Non di più. Eravamo ammirati per la noncuranza con cui aveva assistito al turbinio mediatico sollevato da Adriano Celentano che già arrivano, con rovinoso tempismo, le anticipazioni dell'ennesimo libro di Bruno Vespa: «Quello di giovedì 20 ottobre—dice a Vespa il presidente del Consiglio — è soltanto l'ultimo episodio di un sistema della comunicazione, televisione ma anche della stampa, che dal 2001 ha sistematicamente attaccato l'operato del governo e il presidente del Consiglio».
E così Prodi può tornare a parlare di liste di proscrizione, di ingerenze, di conflitto di interesse. Silvio Berlusconi è fatto così. E dire che avrebbe un mucchio di cose da fare invece di occuparsi di comici. Non è umanamente possibile che perda tempo a vedere un programma di Dario Vergassola. E allora perché si abbandona a queste cadute di stile? C'è una sola spiegazione: Berlusconi ha due consiglieri per la tv, uno buono (che chiameremo Abele) e uno cattivo, anzi pessimo (che chiameremo Caino). Abele ha appena finito di spiegargli che la battaglia dei voti in tv è una battaglia trasversale, che si gioca sulla quotidianità e sulla routine (l'ampia area dell'infotainment), che spesso gli attacchi diretti si ritorcono contro.
Gli ha anche spiegato che il pubblico più «debole » (scolarizzazione medio-bassa e livelli economici medi o medio-bassi) è quello più influenzabile, non certo quello che segue i comici o i programmi d'approfondimento (sa già per chi votare). Gli ha persino detto che nonostante Jay Leno e David Letterman (mica Vergassola o Bertolino) lo attaccassero ogni giorno, George W. Bush ha vinto per due volte le elezioni. Giorni fa, Berlusconi sembrava aver capito la lezione: bisogna stare attenti, aveva ammonito, a «Uno mattina». Aveva ragione: se un'Antonella Clerici, preparando la pastasciutta, impreca al governo ladro fa più danni di Michele Santoro (perché Fassino sarebbe andato da Maria De Filippi?).
Caino invece non è così raffinato, senza la clava non si diverte. E invece di spiegargli come e perché abbiano fallito conduttori come Giovanni Masotti o Anna La Rosa trova più facile dare sempre la colpa all'altro, all'immediato, alla battuta più corriva. Caino dev'essere un comico fallito che vuole solo vendicarsi di alcuni colleghi più fortunati. Dev'essere una mezzacalzetta, un giornalista mancato che non ha capito che, mettendo Gene Gnocchi al termine del suo tg, Mauro Mazza ha fatto una grande operazione di immagine (ci sarà mai un Tg3 che dà spazio a un comico di destra?). Dev'essere una bestia edotta in teoria e tecnica della comunicazione per fare la spia su un manipolo di comici. Si sarà capito a chi ha dato retta il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Eppure il presidente emerito Francesco Cossiga gli aveva regalato un consiglio splendido: vada da Celentano (allarghiamoci: vada dai comici) e dica la sua, ci scherzi su, si faccia una risata!
L'ebbrezza di una risata avrebbe ridotto a niente tutto il tourbillon di questo mondo mediatico (cui basta una predica di Celentano per perdere il senso della misura); e nessun problema di censura né tormento interiore sarebbe più venuto a turbare una gioia ritrovata. Siamo tutti vittime della «sindrome da finestra sul cortile», confondiamo la tv con la vita, l'aumento dell'audience con l'aumento dei prezzi. Un errore, però, che un capo di governo non dovrebbe commettere.
corriere.it

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