È più facile che un grande scrittore si nasconda sotto i panni malconci del ladro di polli che dentro la giacchetta di un dandy ostentato, ex studente di liceo sempre seduto al primo banco
Camilo José Cela
Ignorano, i giovani apprendisti del mestiere sparsi per tutta la terra di Spagna, fino a che punto scrivo fremendo e con l'anima appesa a un filo questa lettera che oggi voglio dedicare loro. Né vecchio, ma nemmeno più giovanissimo, credo che i miei trentasei anni siano giusti per rivolgermi, con ancora fresco il ricordo di quell'età, ai giovani che, come bambini sonnambuli, si sforzano di seguire il duro e accidentato cammino della propria vocazione letteraria, questo sentiero per cui si procede pagando tutte le servitù di passaggio, e per il quale, a volte, non si va avanti se non a prezzo del fallimento; e, quel che è peggio, del dileggio dei più. Il ludibrio di quanti, deliziandosi della propria crudeltà, esclamano: «Lo vedi? Se almeno ti fossi preparato qualche concorso».
Per essere scrittore, è necessario essere capaci di sentirsi eternamente giovani. Samuel Ullman diceva che la gioventù non è una età della vita, ma una condizione dello spirito, e in questo senso parlo ora di quel mito dorato, di quel premio della lotteria a cui diamo il nome di «giovinezza». L'apprendista del mestiere, lo scrittore esordiente, di solito è giovane. Darsi, una volta trascorsa la giovinezza, alla letteratura, alla tauromachia, o all'amore, è un bisogno, né piacevole, né fecondo. Bisogna provare sia la letteratura che la tauromachia, per non essere privati di vigore e di virtù, parandosi con la «muleta» dell'audacia - arma difficile che pochissimi sanno maneggiare - e facendosi scudo di un'eroica rinuncia a tutto. Ammesso che si guadagni il successo, questo ci sarà dato come un di più, e né gli intrighi, né i temporeggiamenti potranno servirci se non da zavorra.
Il giovane che si senta conservatore farebbe meglio a sbarazzarsi di gran carriera del suo progetto di farsi strada con la penna in mano. Il saggio Castiglione diceva che troppo buon senso nei giovani è un cattivo segno. È più facile che un grande scrittore si nasconda sotto i panni malconci del ladro di polli, che dentro la giacchetta di un dandy ostentato, solito a sedersi, quando era studente di liceo, sempre al primo banco. È solo questione di sapere ciò che si vuole e di riuscire a capirlo in tempo.
L'apprendista scrittore non deve mai cercare di procacciarsi onori, meriti, gloria o denaro in cambio dell'avere dedicato tutta la sua vita alla letteratura. Non è infrequente imbattersi in chi vende il proprio onore in cambio di onorificenze, come diceva il tedesco Jacob, ed è bene tenere sempre a mente che, secondo il poeta Giusti, la gloria, il merito e l'onore sono elastici come la gomma.
L'apprendista scrittore farà bene a ricordare sempre che la letteratura nasce e muore in se stessa, che non ha nessuna influenza sulla vita dei popoli - di solito governati da commercianti, pirati, e gente che non ha trovato modo migliore di sfangare la vita - e né la cuccagna né la prosperità materiale le portano fortuna, inoltre non dà maggiore soddisfazione se non quel bene tanto aleatorio, obliato, umiliato che si chiama coscienza tranquilla, a cui solo alcuni folli come noi continuano ad attribuire una qualche utilità.
Coltivando l'idea che si scrive solo per scrivere e mai per più di una mezza dozzina di persona, l'apprendista del mestiere, a patto di non dimenticarlo mai, può diventare scrittore. Con gioia e mirando a traguardi molto lontani. Non serve a nulla essere il romanziere più quotato di una casa editrice, o il poeta più apprezzato di una certa provincia, obiettivo raggiungibile da qualsiasi idiota dotato anche solo di un po' di applicazione. Il nostro fine - il fine a cui bisogna tendere - è dire ciò che abbiamo dentro nella maniera migliore e più chiara possibile: lo stesso fine che si sono proposti, più o meno, Cervantes, Dostoevskij o Balzac.
Lungi da me l'intenzione di indottrinare chicchessia - e che Dio mi liberi dal volerlo fare in un paese in cui si trovano tanti volontari! Al mio proposito, calza a pennello ricordare le sagge e assai sagaci parole di Goethe, l'uomo che ha ribadito il principio per cui la gioventù preferisce essere stimolata piuttosto che istruita. Poiché penso che la dedizione alla letteratura sia una passione fatale, e, se profondamente sentita, nessuno la possa frenare, preferisco, piuttosto che offrire all'apprendista il triste calice della dolorosa e quasi quotidiana realtà, fargli un brindisi di incoraggiamento.
Ciò che vi è di più interessante, dice Ortega, non è la battaglia dell'uomo con il mondo, con il suo destino esteriore, ma piuttosto la battaglia dell'uomo con la sua stessa vocazione. In questa battaglia battaglia dell'uomo con se stesso, il giovane scrittore deve trovare il combustibile per alimentare perennemente il motore del suo spirito. L'apprendista deve essere giovane per principio: essere giovane all'anagrafe e nel cuore vuol dire sentirsi capaci delle più nobili e scapigliate imprese. Per Benjamin Disraeli, non c'è nulla di grande che non sia stato portato a compimento dalla giovinezza. L'apprendista scrittore, come il porcospino, deve rinunciare a ogni vana battaglia, a ogni battaglia perduta in partenza, per rifugiarsi, incorruttibilmente e ostinatamente, nel suo ispido mondo personale, dove a nulla gli gioverebbe ingannare se stesso, perché il suo inganno, come una maledizione fatale, travestito da fantasma terrificante, gli si ripresenterebbe davanti non appena l'aspirante scrittore bugiardo si ritrovasse veramente da solo con se stesso.
L'aspirante scrittore che si ritiene dotato di forza sufficiente per mantenersi a galla accada quel che accada, non ha nulla a che vedere con l'ipocrita, con l'uomo che si rifugia dietro una maschera di cautele. Questo di solito accade in seguito, anche se non è una regola ineluttabile. E se cerca, sin da piccino, di imbonire tutti con fole e fantasie, che tenerezza ispira col suo candore tinto di saggezza infantile! Il popolo, che spesso dice bene, sostiene che se il pane è buono lo si vede anche prima di metterlo in forno.
(Traduzione di Laura Pugno)
Per essere scrittore, è necessario essere capaci di sentirsi eternamente giovani. Samuel Ullman diceva che la gioventù non è una età della vita, ma una condizione dello spirito, e in questo senso parlo ora di quel mito dorato, di quel premio della lotteria a cui diamo il nome di «giovinezza». L'apprendista del mestiere, lo scrittore esordiente, di solito è giovane. Darsi, una volta trascorsa la giovinezza, alla letteratura, alla tauromachia, o all'amore, è un bisogno, né piacevole, né fecondo. Bisogna provare sia la letteratura che la tauromachia, per non essere privati di vigore e di virtù, parandosi con la «muleta» dell'audacia - arma difficile che pochissimi sanno maneggiare - e facendosi scudo di un'eroica rinuncia a tutto. Ammesso che si guadagni il successo, questo ci sarà dato come un di più, e né gli intrighi, né i temporeggiamenti potranno servirci se non da zavorra.
Il giovane che si senta conservatore farebbe meglio a sbarazzarsi di gran carriera del suo progetto di farsi strada con la penna in mano. Il saggio Castiglione diceva che troppo buon senso nei giovani è un cattivo segno. È più facile che un grande scrittore si nasconda sotto i panni malconci del ladro di polli, che dentro la giacchetta di un dandy ostentato, solito a sedersi, quando era studente di liceo, sempre al primo banco. È solo questione di sapere ciò che si vuole e di riuscire a capirlo in tempo.
L'apprendista scrittore non deve mai cercare di procacciarsi onori, meriti, gloria o denaro in cambio dell'avere dedicato tutta la sua vita alla letteratura. Non è infrequente imbattersi in chi vende il proprio onore in cambio di onorificenze, come diceva il tedesco Jacob, ed è bene tenere sempre a mente che, secondo il poeta Giusti, la gloria, il merito e l'onore sono elastici come la gomma.
L'apprendista scrittore farà bene a ricordare sempre che la letteratura nasce e muore in se stessa, che non ha nessuna influenza sulla vita dei popoli - di solito governati da commercianti, pirati, e gente che non ha trovato modo migliore di sfangare la vita - e né la cuccagna né la prosperità materiale le portano fortuna, inoltre non dà maggiore soddisfazione se non quel bene tanto aleatorio, obliato, umiliato che si chiama coscienza tranquilla, a cui solo alcuni folli come noi continuano ad attribuire una qualche utilità.
Coltivando l'idea che si scrive solo per scrivere e mai per più di una mezza dozzina di persona, l'apprendista del mestiere, a patto di non dimenticarlo mai, può diventare scrittore. Con gioia e mirando a traguardi molto lontani. Non serve a nulla essere il romanziere più quotato di una casa editrice, o il poeta più apprezzato di una certa provincia, obiettivo raggiungibile da qualsiasi idiota dotato anche solo di un po' di applicazione. Il nostro fine - il fine a cui bisogna tendere - è dire ciò che abbiamo dentro nella maniera migliore e più chiara possibile: lo stesso fine che si sono proposti, più o meno, Cervantes, Dostoevskij o Balzac.
Lungi da me l'intenzione di indottrinare chicchessia - e che Dio mi liberi dal volerlo fare in un paese in cui si trovano tanti volontari! Al mio proposito, calza a pennello ricordare le sagge e assai sagaci parole di Goethe, l'uomo che ha ribadito il principio per cui la gioventù preferisce essere stimolata piuttosto che istruita. Poiché penso che la dedizione alla letteratura sia una passione fatale, e, se profondamente sentita, nessuno la possa frenare, preferisco, piuttosto che offrire all'apprendista il triste calice della dolorosa e quasi quotidiana realtà, fargli un brindisi di incoraggiamento.
Ciò che vi è di più interessante, dice Ortega, non è la battaglia dell'uomo con il mondo, con il suo destino esteriore, ma piuttosto la battaglia dell'uomo con la sua stessa vocazione. In questa battaglia battaglia dell'uomo con se stesso, il giovane scrittore deve trovare il combustibile per alimentare perennemente il motore del suo spirito. L'apprendista deve essere giovane per principio: essere giovane all'anagrafe e nel cuore vuol dire sentirsi capaci delle più nobili e scapigliate imprese. Per Benjamin Disraeli, non c'è nulla di grande che non sia stato portato a compimento dalla giovinezza. L'apprendista scrittore, come il porcospino, deve rinunciare a ogni vana battaglia, a ogni battaglia perduta in partenza, per rifugiarsi, incorruttibilmente e ostinatamente, nel suo ispido mondo personale, dove a nulla gli gioverebbe ingannare se stesso, perché il suo inganno, come una maledizione fatale, travestito da fantasma terrificante, gli si ripresenterebbe davanti non appena l'aspirante scrittore bugiardo si ritrovasse veramente da solo con se stesso.
L'aspirante scrittore che si ritiene dotato di forza sufficiente per mantenersi a galla accada quel che accada, non ha nulla a che vedere con l'ipocrita, con l'uomo che si rifugia dietro una maschera di cautele. Questo di solito accade in seguito, anche se non è una regola ineluttabile. E se cerca, sin da piccino, di imbonire tutti con fole e fantasie, che tenerezza ispira col suo candore tinto di saggezza infantile! Il popolo, che spesso dice bene, sostiene che se il pane è buono lo si vede anche prima di metterlo in forno.
(Traduzione di Laura Pugno)
ilmanifesto.it
2 commenti:
Si, probabilmente lo e
necessita di verificare:)
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