8.1.09

La virtù della giustizia

Nel centenario della nascita, un testo inedito del filosofo, maestro di politica e diritto
NORBERTO BOBBIO


Il 2009 è l’anno di Norberto Bobbio. Del filosofo torinese, tra le maggiori autorità intellettuali e morali del Novecento, ricorre il centenario della nascita (18 ottobre 1909), oltreché il quinto anniversario della morte (9 gennaio 2004). Per celebrare la ricorrenza il ministero dei Beni culturali ha istituito un Comitato Nazionale, composto da oltre cento istituzioni e personalità della cultura italiane e straniere, che ha elaborato un fitto programma di iniziative (vedi scheda in basso) per promuovere il dialogo e la riflessione intorno al pensiero di Bobbio e sul futuro della nostra democrazia. La Stampa, che ha avuto il filosofo tra i suoi collaboratori di punta per quasi trent’anni, propone qui un testo inedito, trovato tra le carte dell’Archivio Norberto Bobbio presso il Centro studi Gobetti di Torino: si tratta di un dattiloscritto, presumibilmente della fine degli Anni 50, sul tema «giustizia», voce preparata per un progetto di dizionario enciclopedico mai realizzato, di cui pubblichiamo uno stralcio.

Nella filosofia politica antica la giustizia era una virtù, una delle virtù etiche fondamentali, cioè un abito o un’abitudine di compiere certe azioni giudicate aventi un valore positivo e di evitare certe altre azioni giudicate aventi un valore negativo. La valutazione di un’azione come virtuosa, in particolare come giusta, rinviava necessariamente al criterio in base al quale le azioni potevano essere distinte come giuste o ingiuste. Nel pensiero moderno e soprattutto contemporaneo si intende per giustizia questo criterio di valutazione, o valore ideale, o principio direttivo dell’azione che permette di giudicare le azioni umane, onde chiamiamo giuste quelle che vi corrispondono, ingiuste quelle che non vi corrispondono.

Per quanto siano quasi infinite le definizioni che sono state date della giustizia nel corso dei secoli, l’ambito di riferimento di queste definizioni è pur sempre l’azione sociale dell’uomo, ovvero l’azione che l’uomo compie nelle sue relazioni con altri uomini.

Il problema della giustizia è strettamente connesso al problema della costituzione e della conservazione della società umana: onde azione giusta è quella che contribuisce in qualche modo a rendere possibile la coesistenza degli uomini, ingiusta quella che la ostacola. S’intende che i diversi modi di definire la giustizia dipendono dai diversi modi di concepire la società, dai diversi fini che le si attribuiscono, dai diversi ideali sociali che si vogliono raggiungere.

Due sono soprattutto gli ideali che entrano a formare, separatamente o congiuntamente, la nozione giustizia: l’ideale dell’ordine e quello dell’eguaglianza. L’idea dell’ordine sociale è sorta, sin dai primordi della riflessione sulla giustizia, in corrispondenza all’idea dell’ordine dell’universo; e di volta in volta l’ordine dell’universo è stato concepito a immagine dell’ordine sociale (la natura come insieme di enti che ubbidiscono alla volontà sovrana di Dio o degli Dei), e l’ordine sociale è stato considerato come il riflesso dell’ordine cosmico (le leggi che regolano la società umana sono una parte delle leggi giuridiche naturali che regolano l’universo), dando luogo ora a una concezione etica e giuridica dell’ordine naturale, ora a una concezione naturalistica dell’ordine giuridico.

Ogni totalità ordinata ha bisogno di norme o leggi, cioè di canoni che prescrivano o determinino la regolarità dei comportamenti. Ordine e legge sono due nozioni strettamente connesse: l’ordine è garantito dal fatto che la legge, cioè la regolarità dei comportamenti, sia rispettata. Questo rispetto della legge, che assicura l’ordine, è ciò che si chiama, in una delle accezioni tradizionali, giustizia. In questa accezione la giustizia consiste nella conservazione dell’ordine costituito: conservazione, appunto, che viene ottenuta attraverso il rispetto delle leggi costitutive dell’ordine. Ingiustizia è la rottura dell’ordine, perpetrata attraverso la violazione della legge: è disordine o caos, contrapposto a ordine o cosmo; in termini più drammatici, è guerra contrapposta a pace. E in quanto violazione della legge, in quanto disordine, caos o guerra, è la dissoluzione di ogni possibile convivenza, è la rovina della società.

In questa connessione con l’ideale dell’ordine, la nozione di giustizia si risolve in quella di legalità: la concezione della giustizia come legalità è una delle concezioni ricorrenti nella storia del pensiero occidentale. È quella concezione per cui si dice giusta l’azione conforme alla legge, ingiusta quella difforme; e uomo giusto è colui che ha l’abito di rispettare le leggi, ingiusto colui che ha l’abito di trasgredirle. Partendo da questo modo di intendere la giustizia, il fine e il contenuto delle leggi non entrano in questione: la garanzia dell’ordine è data dal rispetto delle leggi, quali che esse siano. Ciò che garantisce l’ordine è infatti la corrispondenza dell’azione alla legge, non il tipo di azione che la legge prescrive o determina. Si tratta di una concezione meramente formale della giustizia.

L’idea dell’eguaglianza integra quella dell’ordine in quanto esprime l’esigenza che per attuare la giustizia occorra non un ordine qualunque esso sia, ma un ordine fondato su un certo principio che è, appunto, quello dell’eguale distribuzione di onori e di oneri. Anche la società tenuta insieme da leggi tiranniche, e quindi esclusivamente con la spada, è a rigore una società ordinata; ma è sufficiente quest’ordine a garantire la conservazione della società? L’ideale dell’eguaglianza è quello che fa porre nelle mani della giustizia, accanto alla spada, anche la bilancia. Non basta allora che vi siano leggi rispettate, come chiede la concezione formale della giustizia (perché le leggi vengano rispettate può bastare anche soltanto la forza), ma occorre inoltre che le leggi stesse rispettino alcuni criteri fondamentali nella distribuzione degli onori e degli oneri, in primis il criterio dell’eguaglianza.

Sennonché la nozione di eguaglianza è anch’essa generica, in quanto indica soltanto un rapporto tra termini, ma non dà altre indicazioni sui termini da mettere in rapporto. Già Aristotele aveva distinto la giustizia commutativa, che ha luogo principalmente negli scambi economici e che è fondata sul criterio dell’eguaglianza aritmetica, e la giustizia distributiva, che ha luogo principalmente nei rapporti fra lo Stato e cittadini, fondata sul criterio dell’eguaglianza geometrica o proporzionale. La giustizia distributiva ha avuto nell’antichità due celebri formulazioni, che sono state poi tramandate, per lo più, come le definizioni della giustizia senz’altro, e si distinguono unicamente perché l’una riguarda l’azione doverosa dell’individuo nei confronti della comunità, l’altra l’azione doverosa della comunità nei confronti dell’individuo: la formulazione platonica, secondo cui la giustizia consiste nell’eseguire il proprio compito, ciò che a ciascuno compete nell’ordine della società (è il celebre suum agere); la formulazione che si suol chiamare romana (si trova in Cicerone e in Ulpiano), secondo cui la giustizia consiste nel dare a ciascuno ciò che gli spetta (è il non meno celebre suum cuique tribuere).

Ma questo suum, che si trova in entrambe le formulazioni, come viene determinato? Il criterio del suum, come è ovvio, non è più definibile in termini di eguaglianza, di proporzione, e quindi nascono tante definizioni di giustizia distributiva quanti sono i criteri adoperati, di volta in volta, nelle varie società, in modo esclusivo oppure, più spesso, in modo complementare, per determinare per ciascun membro della società l’ambito di ciò che è il suo dovere o il suo diritto.

I criteri storicamente rilevanti sono soprattutto i quattro seguenti: il criterio del rango, del merito, del lavoro, del bisogno, per cui si ritiene giusto, rispettivamente, dare a ciascuno secondo la propria posizione nella gerarchia sociale, secondo le proprie capacità, secondo l’attività svolta nella produzione di beni e servizi, secondo le proprie necessità spirituali e materiali. Per quanto tutti e quattro i criteri si trovino di solito applicati in corrispondenza di diverse situazioni, ciascuno di essi presiede all’orientamento di un tipo determinato di società.

Le celebrazioni

Le celebrazioni per il centenario di Bobbio avranno un’anteprima domani a Rivalta Bormida, dove il filosofo è sepolto, con una cerimonia nel quinto anniversario della morte (ore 15, Palazzo Bruni, con l’intervento, tra gli altri, del figlio Andrea). Sabato a Torino (9,30-12,30, Aula magna del Rettorato) presentazione del programma del centenario. Momento culminante dell’anno bobbiano il convegno internazionale «Dal Novecento al Duemila» in programma a Torino dal 15 al 17 ottobre, che sarà aperto dal presidente Giorgio Napolitano. A seguire, sempre a Torino, un ciclo di cinque incontri intorno a diversi aspetti del pensiero di Bobbio, con un’anticipazione il 25 aprile al Teatro Gobetti, e una mostra su «Bobbio e il Novecento» (da ottobre a gennaio 2010 presso l’Archivio di Stato). Entro il 2010 saranno inoltre messi in rete (
www.erasmo.it/bobbio) tutti i testi del filosofo. Per il programma completo delle celebrazioni http://www.centenariobobbio.it/

lastampa.it

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