Berlusconi, la tragedia degli albanesi in Puglia del ’97 e le critiche a Prodi: no ai blocchi, il diritto non lo prevede
Gian Antonio Stella
Il 30 marzo del 1997, giorno di Pasqua, Silvio Berlusconi è a Brindisi con i 34 albanesi sopravvissuti al naufragio del 28 marzo (Ansa/Caricato)
«Dov’è la cipolla, piagnina?» Erano i primi di aprile del ’97 e il leghista Daniele Roscia, sfottendo Silvio Berlusconi per le lacrime versate sugli albanesi morti sulla nave speronata da una corvetta della Marina italiana, non poteva immaginare che un giorno il Cavaliere avrebbe blindato con la fiducia un decreto come quello di ieri fortissimamente voluto dalla Lega.
Rileggere quanto disse allora il leader azzurro, deciso a sottolineare i contrasti dentro il governo Prodi che per arginare gli sbarchi in Puglia aveva varato il pattugliamento delle coste andando incontro alla spaventosa tragedia della «Kater I Rades » affondata con una manovra sbagliata dalla «Sibilla», è fonte di sorprese. Per cominciare, secondo l’Ansa, il leader azzurro accorso a Brindisi a incontrare i sopravvissuti, ricordò che «l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati aveva espresso deplorazione su questa misura del blocco navale: ora dopo quello che è successo, dobbiamo riscattare la nostra immagine e dobbiamo fare tutto ciò che le nostre possibilità ci consentono, non solo con il nostro esercito per proteggere gli aiuti, ma dobbiamo essere tutti noi generosi». Quindi, offerta ospitalità personale a una dozzina di profughi, espresse «le sue riserve sul pattugliamento» e smentì assolutamente a Repubblica che Romano Prodi l’avesse preavvertito: «Non sono stato informato né di blocchi né di pattugliamenti. Prodi mi aveva informato dell’intervento finalmente possibile in Albania, dicendomi che era stato trovato un accordo con i paesi di cui mi ha fatto i nomi — Portogallo, Francia, Grecia ed altri — per una missione di pace. Su questo, io ho detto 'Sono pienamente d’accordo'. Tra l’altro ho studiato diritto della navigazione, a suo tempo: so che nessuno può fermare navi civili in acque non territoriali, non è previsto assolutamente un diritto di questo genere da parte di nessuno Stato. Se avessi sentito parlare di blocco navale, avrei subito drizzato le antenne».
Di più, aggiunse all’Ansa: «Credo che l’Italia non possa accettare di dare al mondo l’immagine di chi butta a mare qualcuno che fugge da un Paese vicino, temendo per la sua vita, cercando salvezza e scampo in un paese che ritiene amico. Il nostro dovere è quello di dare temporaneo accoglimento a chi si trova in queste condizioni ». E chiuse: «Dobbiamo lavare questa macchia, che sarà pure venuta dalla sfortuna, ma che è venuta da una decisione che non si doveva prendere».
Il giorno dopo, mentre a sinistra si sbranavano sul tema dell’accoglienza e tentavano di arginare l’indignazione sventolando un sondaggio secondo cui, come avrebbe scritto Filippo Ceccarelli, appena un quarto degli intervistati giudicava il pianto berlusconiano «sincero », il Cavaliere spiegava a Raffaella Silipo, de La Stampa d’essere schifato dalle reazioni: «Vogliono strumentalizzare il mio gesto e trasformare una grande tragedia in una piccola e sciagurata polemica politica. D’altronde è inevitabile, quando si guarda con occhi sporchi a cose chiare e pulite». A farlo precipitare in Puglia, spiegò, era stata l’indifferenza degli altri: «Vede, io li ho visti, i superstiti del naufragio. Erano disperati. E nessuno era lì con loro, nessuno gli ha detto niente, capito? Si parla di settanta morti, venti bambini, una tragedia paragonabile a Ustica, e questi qui, dal presidente della Repubblica al presidente del Consiglio al ministro della Difesa, restano a casa loro? È drammatico ». Dodici anni dopo, riesaminati gli studi di «diritto della navigazione» a proposito dei pattugliamenti navali, ha cambiato parere: «Fuori dai confini vale il nostro diritto, previsto dai trattati internazionali, di respingerli ». E il voto di ieri, marcato dal trionfo della Lega Nord, sigilla la conclusione di un percorso di progressivo avvicinamento ai temi cari al Carroccio.
Daremo a Silvio la tessera perché si è 'pontidizzato'», gongolava giorni fa Roberto Calderoli. Padano ad honorem. Una onorificenza che gli sarebbe stata difficile da guadagnare quel giorno in cui, nella intervista citata a La Stampa dopo la tragedia della nave albanese, confidò pensieri che in bocca altrui gli suonerebbero, diciamo così, «buonisti» e «cattocomunisti »: «Siamo stati chiusi nell’egoismo, non possiamo permettere che succeda più nel nostro Paese. Non possiamo chiudere le porte, 58 milioni di italiani che stanno bene non possono respingere povere persone che vengono qui per cercare un po’ di libertà. Domandiamoci se la tragedia non è anche dovuta, almeno in parte a quel coro di ''gettateli a mare, sono tutti delinquenti'' sentito nei giorni scorsi».
Un monito antirazzista, ironizzerà qualcuno, arrivato dodici anni prima di quello di Giorgio Napolitano...
corriere.it
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