5.5.09

Ombre sull'indotto

LUCIANO GALLINO
In passato le strategie della Fiat per diventare grande mediante fusioni o acquisizioni di costruttori stranieri sono regolarmente fallite. Questa volta, invece, il Lingotto, pare sulla buona strada. L'accordo con Chrysler presenta sicuramente molti aspetti positivi. Apre la porta al mercato statunitense, esporta tecnologie di prodotto e di fabbricazione.
Fa salire verso i quattro milioni le unità costruite all'anno dai due marchi consociati. L'acquisizione di Opel dalla General Motors sarebbe un altro passo, forse decisivo, per occupare un posto stabile nella mezza dozzina di produttori che sopravviveranno alla inevitabile ristrutturazione dell'industria mondiale dell'auto. Un processo la cui asprezza deriva dal fatto che da tempo essa, in media, riesce a vendere sì e no 70 vetture ogni 100 che i suoi stabilimenti sarebbero in grado di produrre. Dal successo della Fiat nell'entrare a far parte del ristretto club dei marchi superstiti potrebbero derivare importanti benefici per tutta l'economia italiana.
Bisognerebbe però anche accordarsi su che cosa si intende per successo. Per farlo occorrerà dar risposta prima o poi a un triplice interrogativo, che in realtà ne riassume decine di altri: che cosa succederà, rispettivamente, agli occupati del gruppo Fiat in Italia; alle loro condizioni di lavoro; infine alla industria italiana della componentistica, con le sue imprese, e i suoi occupati - che sono circa il triplo di quelli Fiat. Cominciamo dagli occupati del gruppo. Se Fiat Auto diventa parte di una società mista da sei milioni di unità, i siti produttivi italiani, da Termini a Mira-fiori, si troveranno a concorrere con dozzine di altri impianti della stessa società nella Ue e in Usa. Per far sì che gli impianti italiani producano una congrua fetta di quei milioni - cioè parecchie unità in più delle 6-700.000 che produrranno quest'anno - quasi tutti dovranno essere ammodernati, il che richiederà investimenti rilevanti e veloci. In caso contrario la produzione e l'occupazione migreranno altrove.
È vero che i dati di aprile sulle immatricolazioni di auto nuove vedono la Fiat uscirne un po' meglio, ossia meno negativamente, dei marchi stranieri, con una perdita di solo il 3% rispetto allo stesso mese del 2008, pari a 67.000 auto vendute, contro il meno 7,5% e 122.000 unità dei secondi. Ma questo effetto positivo è dovuto soprattutto agli ecoincentivi, che per ora vedono la Fiat offrire modelli più idonei; incentivi che non saranno eterni, e in ogni caso vedranno presto i modelli stranieri alla riscossa. Per mantenere stabile l'occupazione in Italia ai livelli attuali, senza ricorrenti mesi di cig, a fronte degli scenari che si aprono con la vicenda Opel, la Fiat dovrebbe tornare a produrre tra uno e due milioni di vetture all'anno.
Né va dimenticato che non ci sono soltanto gli addetti alla produzione di auto. L'eventuale scorporo di Fiat Auto dal Gruppo omonimo lascerebbe orfane sia l'Iveco (autocarri) che la Nch (trattori e macchine per il movimento terra, che in Italia hanno qualche migliaio di dipendenti, al momento in cassa integrazione per mesi. È dubbio che la controllante Exor si prenderebbe molta cura di questi gioielli per così dire minori, dopo aver ceduto il tesoro principale.
Quanto alle condizioni di lavoro, una volta ancora riconosciuta la validità dell'operazione Chrysler, bisogna pur notare che i lavoratori statunitensi dovranno fare notevoli sacrifici a seguito dell'accordo con Fiat: meno giornate festive, meno paga per gli straordinari, contributi azzerati per l'assistenza sanitaria ai pensionati, in un paese dove bisogna essere o molto poveri o molto anziani per aver diritto a un minimo di sanità pubblica, e inoltre niente scioperi per diversi anni. Non ci stupiremmo più di tanto se un domani la stessa Fiat, presa nelle strette della conversione, o altri componenti dell'industria nazionale, finissero per dichiarare che visti i sacrifici compiuti dagli americani per salvare lavoro impresa, anche i lavoratori italiani dovrebbero fare altrettanto, e magari di più.
Infine c'è la grande assente nei commenti finora diffusi in merito alla vicenda Fiat-Opel: la componentistica. Oggi circa i due terzi di un'auto (in valore), telai, mo - tori e trasmissioni compresi, sono fabbricati al di fuori degli stabilimenti dove si mette poi il marchio sul cofano, con la tendenza a salire verso il 75%. Quindi, per ogni addetto alla lavorazione finale, altri due-tre sono occupati in fondamentali lavorazioni a monte. E qui le cose sul fronte Fiat-Opel sembrano davvero complicarsi. Due dei maggiori produttori mondiali d componenti sono tedeschi (Bosch e Continental, decine di miliardi di fatturato a testa), un terzo è austro-canadese (Magna, 75.000 dipendenti nel mondo, che dopo avere enormemente ampliato i suoi impianti a Graz non vedrebbe male un proprio ingresso in Opel). Ciò significa che il vero problema della Fiat non saranno soltanto le trattative con GM, ma la gigantesca riorganizzazione di tutta la filiera produttiva in Europa e nel mondo, alle prese con i suddetti giganti. Tra le misure del successo di Fiat, che tutti ci auguriamo, bisogna dunque collocare anche le dimensioni e la qualità tecnico-organizzativa che il sistema italiano della componentistica riuscirà a conservare, con le sue decine di migliaia di addetti.
larepubblica.it

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