15.9.09

L'indice della felicità

Massimo Gramellini

La culla dell’Illuminismo ha sfornato un’idea non peregrina: l’uccisione del famigerato Pil, il prodotto interno lordo che da decenni è lo strumento pressoché unico con cui si valuta il peso specifico delle nazioni. Una commissione di economisti insediata in Francia da Sarkozy propone di sostituirlo con un indice che tenga conto non solo della quantità, ma anche della qualità della vita: tempo libero, ambiente, servizi pubblici.

Aiuto. Come essere umano ne sono entusiasta. Ho sempre detestato la religione dei numeri, questo Auditel esistenziale in base al quale l’importanza di un popolo o di una persona viene fatta dipendere soltanto dalla massa di cose che produce e possiede. Ma come italiano temo che le nuove regole ci trascinerebbero nel girone dei dannati. Già il nostro Pil deve sottrarre dal computo i guadagni degli evasori e dei mafiosi (che insieme fanno praticamente un altro Pil). Se poi l’indice dovesse allargarsi alle esperienze mistiche che ogni giorno colorano la vita di chi decide di spostarsi da una città all’altra o di chiedere un documento in un ufficio, prevedo che la nostra partecipazione ai G8 e ai G20 si ridurrebbe al ramo «ricevimento e catering». A meno che gli economisti di Sarkò inseriscano nel paniere del benessere la voce «anarchia e impunità», che all’estero molti ci contestano e al tempo stesso ci invidiano: allora rischieremmo di tornare in testa, e per distacco.

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