Massimo Gramellini
Molti lettori mi chiedono di aderire alla campagna del  Giornale contro il canone Rai. Vittorio Feltri ha ragione,  sostengono, non se ne può più di sovvenzionare col nostro  denaro «Porta a Porta» e il Tg1.  A dire il vero certe battute me le sarei aspettate dall’opposizione,  se solo fosse guidata da esseri viventi. Invece  da lì sono uscite le consuete lamentazioni ispirate al politicamente  corretto: vergogna, evasori, giù le mani dal  servizio pubblico. Ma siamo sicuri che per la buona tv sarebbe  così terribile se il canone si trasformasse da tassa di  possesso a tassa d’uso e ognuno di noi finanziasse soltanto  i programmi che intende guardare? Una pay-per-view a  prezzi popolari. Adesso io pago il balzello in un colpo solo,  poi me ne dimentico e per un anno intero mi sorbisco le  peggio sconcezze con l’atteggiamento tollerante di chi sta  ricevendo qualcosa gratis. Immaginiamo invece che ogni  trasmissione mi costi, anche solo cinque centesimi. Sarei  curioso di vedere quanti di noi li investirebbero ancora in  certi spettacoli della mutua. La nevrosi dello zapping subirebbe  una contrazione salutare. L’indice di ascolto coinciderebbe  finalmente con quello di gradimento. E la pubblicità  sarebbe obbligata a diventare adulta, rivolgendosi a  un pubblico selezionato e spostandosi in parte su altri media,  come avviene nelle nazioni che frequentano l’alfabeto.  Sì, più ci penso e più mi convinco che Feltri abbia ragione.  Con le dovute eccezioni. Pensando a chi soffre d’insonnia,  continuerei a somministrare gratis Marzullo, dietro  presentazione di regolare certificato medico.
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