di Alesssandro Plateroti
Sui mercati finanziari, la differenza tra un bravo e un cattivo trader si misura prima di tutto sulla velocità di reazione: dal «timing», cioè dalla tempestività delle decisioni, dipende non solo il successo di un'operazione, ma anche quello della carriera. «Se si applicasse questa regola anche ai politici o ai regolatori del mercato - ironizza un vecchio banchiere di investimento - sarebbero in pochi a superare il primo esame».
L'autocritica, verrebbe da rispondere, non è certamente la qualità dei banchieri. Ma davanti al ritardo con cui politica e regolatori stanno rispondendo ai problemi, ai rischi sistemici e alle distorsioni emerse sui mercati finanziari dopo la crisi dei mutui e il crack di Lehman Brothers è davvero difficile dargli torto.
Poco o niente di quanto era stato deciso dal G20, dalle autorità di vigilanza e dai governi di Europa, Stati Uniti e Asia per evitare gli eccessi speculativi e i rischi sistemici, si è infatti tradotto in regole condivise e di efficacia immediata. Soprattutto in Europa, le norme approvate dal legislatore sul controllo dei titoli derivati, sulla trasparenza degli intermediari e delle operazioni, sulla riduzione dei rischi sistemici e sulla protezione del risparmio e del debito sovrano dagli attacchi speculativi, sono ancora in attesa dei regolamenti di attuazione necessari per renderli pienamente operativi. Senza regolamenti, il mercato continua ad agire come un far west.
Prendiamo il caso delle banche americane e del loro comportamento speculativo nei confronti dei titoli di Stato europei: ebbene, se le nuove norme approvate dal Parlamento europeo sulla vendita allo scoperto dei Credit default swap sui titoli sovrani avessero già dei regolamenti attuativi, Morgan Stanley e le altre banche Usa non avrebbero potuto speculare su Bonos e BTp. Per avere quei regolamenti bisognerà attendere ancora a lungo: alla luce del ritardo nelle consultazioni, l'obiettivo di fine 2012, sostengono già gli operatori, non potrà mai essere rispettato.
E così la bolla torna a gonfiarsi: i derivati finanziari Over the counter (Otc), cioè quelli negoziati fuori dai mercati regolamentati e tenuti fuori bilancio, nel primo semestre del 2011 sono aumentati in modo stratosferico. Il valore nozionale totale ha raggiunto 708 trilioni di dollari con un aumento del 18% rispetto ai livelli calcolati a fine dicembre 2010! In sei mesi, quindi, le operazioni in derivati sono aumentate di 107 trilioni, cioè di 107.000 miliardi di dollari: invece di mettere un freno al mercato, sono stati superati tutti i record. E si ricordi che alla vigilia della grande crisi, a giugno 2008, il totale Otc aveva raggiunto la vetta di 673 trilioni di dollari.
La Bri rivela che l'esplosione dei contratti Otc è determinata quasi totalmente dalla crescita dei derivati accesi sul rischio dei tassi di interesse. Da soli, essi coprono 554 trilioni. In questo campo le operazioni sono aumentate del 19% in 6 mesi. Un altro aspetto preoccupante è che la maggior parte dei contratti ha una scadenza sempre più breve. Quelli con scadenza oltre i 5 anni si sono ridotti del 6%, assestandosi intorno a 130 trilioni di dollari, mentre quelli con scadenza a meno di un anno sono aumentati del 30% raggiungendo i 247 trilioni di dollari.
Ciò è sintomo di alta instabilità e di grande volatilità che, nel momento in cui gli Otc entrassero in fibrillazione, potrebbero provocare un devastante «effetto tsunami» soprattutto sulle economie più deboli.
È chiaro che questa nuova ondata speculativa - e il ritardo nelle regole - è una manna per gli operatori e gli speculatori della City e di Wall Street. Che nel ritardo delle regole, hanno accelerato il loro processo di concentrazione e di controllo del potere finanziario. Se nel 2009 le cinque maggiori banche americane detenevano l'80% di tutti i derivati emessi negli Usa, oggi 4 banche (JP Morgan Chase, Citigroup, Bank of America e Goldman Sachs, ne detengono il 94% del totale).
Davanti a queste cifre, è chiaro quanto sia necessario per l'Italia e per l'Europa non solo adottare con celerità le decisioni di propria competenza, ma anche soprattutto di giocare un ruolo più attivo in sede di G20. Dove, purtroppo, finora non si è mai deciso nulla di realmente efficace contro lo strapotere e gli abusi del sistema finanziario.
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