Intervista. L'analisi dei filosofi francesi sul
cortocircuito tra sovranità nazionale e sovranità popolare rafforza il
«sistema». L’appello al popolo presente nelle tesi di Ernesto Laclau
conduce a pericolose derive politiche. Donald Trump e Marine Le Pen
usano la collera contro le élite per contrapporre gli interessi
nazionali alla globalizzazione
Roberto Ciccarelli (il manifesto)
Il populismo come dispositivo teorico emergente nella società neoliberale per rispondere alla crisi del capitalismo e ai conseguenti cambiamenti geo-politici e geo-economici in atto. È il tema dal quale Pierre Dardot e Christian Laval, coppia consolidata della filosofia francese, sono partiti per scrivere il loro prossimo libro sul momento populista della politica contemporanea. L’incontro è avvenuto a Roma dove hanno partecipato alla conferenza sul comunismo. La loro analisi distingue tre populismi: mediatico, nazionalista e teorico e parte da una tesi: «Il populismo è una parola del nemico – afferma Pierre Dardot – Siamo per l’uso della categoria di popolo, ma rifiutiamo quella di populismo».
Per quale ragione?
Christian Laval: Il populismo è una categoria che sintetizza fenomeni diversi. Da quando i media dominanti se ne sono impadroniti hanno fatto di tutta l’erba un fascio. Il populismo mediatico mette infatti insieme Le Pen, Trump, Farage, Corbyn, Grillo o Podemos. In questo modo si neutralizza ogni possibile opposizione al sistema.
Anche i populisti vogliono ripristinare la sovranità popolare. Non parlano anche loro di popolo?
Pierre Dardot: Fanno una deliberata confusione tra la sovranità del popolo e la sovranità dello stato-nazione. In Francia Marine Le Pen invoca il popolo perché vuole rafforzare le prerogative dello stato-nazione. La sua idea di sovranità consiste nel rafforzare il potere sul popolo. Vuole rafforzare in maniera autoritaria il potere dello stato a svantaggio proprio del popolo, ovvero la possibilità di tutti di partecipare alla vita politica e agli affari pubblici. Viceversa la sovranità popolare, il potere del popolo, è l’esercizio diretto del potere da parte del popolo.
Un capitalista come Trump può fare gli interessi del popolo alla Casa Bianca?
Laval: Trump è l’esempio di come una parte della classe dirigente ha giocato la carta della collera popolare contro il capitalismo e il sistema. Ha catturato questa collera mettendola a profitto di un rafforzamento del sistema. È una dimostrazione della flessibilità delle classi dominanti capaci di recuperare l’opposizione. Lo dimostrano i primi orientamenti del suo governo. L’élite dei miliardari che ne fanno parte ha deciso di dismettere la timida riforma sanitaria di Obama, deregolamentare la finanza, riarmare l’economia americana contro quella tedesca.
Il populismo può diventare una critica del capitalismo?
Laval: Al contrario, è una risposta neoliberale alla crisi del capitalismo. Accentua la guerra commerciale tra gli stati: guerra finanziaria e fiscale nel quadro di una concorrenza generalizzata. Le diverse configurazioni del populismo, da Trump alla Brexit, sono l’espressione di una politica che appare anti-sistema ma che rafforza il sistema.
Cresce invece il numero di chi crede nella possibilità di un «populismo di sinistra». Come lo spiegate?
Dardot: È la posizione del populismo teorico ispirato dal filosofo argentino Ernesto Laclau. Si riprende il populismo condannato dai media e dalle classi dominanti, lo si rovescia in una categoria positiva. Siamo in totale disaccordo con questo uso perché il populismo è inteso come il momento costitutivo della politica in quanto tale, non un’esperienza specifica come potrebbe essere il peronismo analizzato da Laclau. La valorizzazione del ruolo del leader è un altro problema. Laclau sostiene che sia uno dei fattori che costituiscono l’identità del popolo. Questa tesi mette in dubbio il principio stesso della democrazia perché istituisce un rapporto plebiscitario e paternalistico tra il leader e il popolo. Va fatta un’analisi accurata per distinguere la democrazia dal populismo. Altrimenti si rischia di entrare nella notte dove tutte le vacche sono nere.
Jean-Luc Melenchon, il candidato alle presidenziali francesi alla sinistra del partito socialista si definisce «populista». Come mai?
Dardot: Melenchon rivendica il populismo teorico di Laclau ed è ispirato da Chantal Mouffe. Sorvola sugli aspetti più criticabili del chavismo, il culto della personalità del capo. Il suo movimento si chiama La France Insoumise (La Francia ribelle). Non è un appello alla ribellione del popolo contro lo Stato, ma a un paese che si ribella ai poteri esterni che ne condizionano la sovranità. La componente nazionalista è presente sin dal nome che questo movimento si è dato. Il riferimento è alla pretesa della rivoluzione francese dove la nazione pretendeva di incarnare l’universale. Questo è il modello Robespierre.
Anche l’estrema destra di Marine Le Pen intende riarmare la nazione contro la globalizzazione. Come si spiega questo convergente disaccordo?
Laval: Questo discorso deriva dalla corrente neofascista del Front National. Nell’estrema destra francese la commistione con un discorso socialista non è nuova. Alla fine del XIX ha riscoperto un discorso di tipo socialista. Questa commistione non è nuova: Maurice Barrès alla fine del XIX secolo aveva definito il suo movimento come «socialista nazionale». Se Le Pen padre aveva un orientamento neoliberista puro alla Reagan, Le Pen figlia ha riscoperto il sovranismo e il protezionismo mescolandoli con alcune tesi del socialismo sovranista e gaullista di Jean-Pierre Chevènement. È una politica ambigua che invoca la protezione statale contro la deregolamentazione. Anche per questo persone di sinistra voteranno Front National alle presidenziali. In generale, esiste un orientamento nazionalistico tra chi sostiene che il prossimo presidente dovrebbe andare a Bruxelles per riorientare la politica europea a favore degli interessi francesi. La Francia si considera un paese del Nord Europa, quella dei dominanti. Nessuno pone il problema della cooperazione con i paesi dell’Europa del Sud, vittime dell’asimmetria che oggi premia la Germania.
Perché l’uscita dall’euro è considerata una bandiera?
Dardot: Si vuole restaurare il potere sovrano dello Stato: battere moneta. Chi a sinistra è ipnotizzato dall’uscita dall’euro la riprende e incorre nella confusione della destra che non distingue tra sovranità popolare e sovranità dello stato-nazione. È un’illusione perché lo stato-nazione costituisce una forma attraverso la quale oggi si esercita il potere delle oligarchie. Il loro potere non è sinonimo di sovranità dello stato-nazione, ma di poteri transnazionali che hanno interessi diversi dal popolo che intendono governare. Senza contare che da più di una generazione gli stati-nazione stanno privatizzando alcune funzioni della sovranità: quella militare, ad esempio. Dalla prima guerra del Golfo in poi è diventato evidente la sua cessione verso agenzie private.
Avete proposto una federazione internazionale composta di coalizioni democratiche. In cosa consiste?
Laval: Siamo favorevoli alla ripresa dell’ispirazione che ha fondato la prima internazionale nel XIX secolo. Non pensiamo a un’internazionale dei partiti sul modello delle altre internazionali che svilupparono la loro azione a livello nazionale. Pensiamo invece a una federazione di associazioni, sindacati, cooperative e anche di partiti.
Qual è la differenza con l’altermondialismo dei social forum?
Laval: Quelli erano luoghi di discussione, non di azione contro il sistema neoliberale mondiale. Il modello è quello delle società operaie il cui statuto garantiva a chiunque di aderire direttamente all’associazione internazionale saltando i livelli intermedi. Nessuna organizzazione può mediare la volontà dei singoli e i singoli possono partecipare direttamente, al di là della nazionalità. Questa soluzione potrebbe tutelare i migranti dal potere discrezionale degli stati, ad esempio.
Per federazione intendete anche un’istituzione politica?
Dardot: L’Unione Europea, così com’è, è detestabile. La federazione è un modello politico alternativo che potrebbe ispirare un’organizzazione internazionale aperta con l’obiettivo di federare i popoli europei nell’ottica di una co-partecipazione agli affari pubblici. L’Europa ha bisogno di una prospettiva internazionale per rifondare la democrazia in Europa su altre basi rispetto a quelle neoliberali, non per combattere per la sovranità dello stato-nazione.
Roberto Ciccarelli (il manifesto)
Il populismo come dispositivo teorico emergente nella società neoliberale per rispondere alla crisi del capitalismo e ai conseguenti cambiamenti geo-politici e geo-economici in atto. È il tema dal quale Pierre Dardot e Christian Laval, coppia consolidata della filosofia francese, sono partiti per scrivere il loro prossimo libro sul momento populista della politica contemporanea. L’incontro è avvenuto a Roma dove hanno partecipato alla conferenza sul comunismo. La loro analisi distingue tre populismi: mediatico, nazionalista e teorico e parte da una tesi: «Il populismo è una parola del nemico – afferma Pierre Dardot – Siamo per l’uso della categoria di popolo, ma rifiutiamo quella di populismo».
Per quale ragione?
Christian Laval: Il populismo è una categoria che sintetizza fenomeni diversi. Da quando i media dominanti se ne sono impadroniti hanno fatto di tutta l’erba un fascio. Il populismo mediatico mette infatti insieme Le Pen, Trump, Farage, Corbyn, Grillo o Podemos. In questo modo si neutralizza ogni possibile opposizione al sistema.
Anche i populisti vogliono ripristinare la sovranità popolare. Non parlano anche loro di popolo?
Pierre Dardot: Fanno una deliberata confusione tra la sovranità del popolo e la sovranità dello stato-nazione. In Francia Marine Le Pen invoca il popolo perché vuole rafforzare le prerogative dello stato-nazione. La sua idea di sovranità consiste nel rafforzare il potere sul popolo. Vuole rafforzare in maniera autoritaria il potere dello stato a svantaggio proprio del popolo, ovvero la possibilità di tutti di partecipare alla vita politica e agli affari pubblici. Viceversa la sovranità popolare, il potere del popolo, è l’esercizio diretto del potere da parte del popolo.
Un capitalista come Trump può fare gli interessi del popolo alla Casa Bianca?
Laval: Trump è l’esempio di come una parte della classe dirigente ha giocato la carta della collera popolare contro il capitalismo e il sistema. Ha catturato questa collera mettendola a profitto di un rafforzamento del sistema. È una dimostrazione della flessibilità delle classi dominanti capaci di recuperare l’opposizione. Lo dimostrano i primi orientamenti del suo governo. L’élite dei miliardari che ne fanno parte ha deciso di dismettere la timida riforma sanitaria di Obama, deregolamentare la finanza, riarmare l’economia americana contro quella tedesca.
Il populismo può diventare una critica del capitalismo?
Laval: Al contrario, è una risposta neoliberale alla crisi del capitalismo. Accentua la guerra commerciale tra gli stati: guerra finanziaria e fiscale nel quadro di una concorrenza generalizzata. Le diverse configurazioni del populismo, da Trump alla Brexit, sono l’espressione di una politica che appare anti-sistema ma che rafforza il sistema.
Cresce invece il numero di chi crede nella possibilità di un «populismo di sinistra». Come lo spiegate?
Dardot: È la posizione del populismo teorico ispirato dal filosofo argentino Ernesto Laclau. Si riprende il populismo condannato dai media e dalle classi dominanti, lo si rovescia in una categoria positiva. Siamo in totale disaccordo con questo uso perché il populismo è inteso come il momento costitutivo della politica in quanto tale, non un’esperienza specifica come potrebbe essere il peronismo analizzato da Laclau. La valorizzazione del ruolo del leader è un altro problema. Laclau sostiene che sia uno dei fattori che costituiscono l’identità del popolo. Questa tesi mette in dubbio il principio stesso della democrazia perché istituisce un rapporto plebiscitario e paternalistico tra il leader e il popolo. Va fatta un’analisi accurata per distinguere la democrazia dal populismo. Altrimenti si rischia di entrare nella notte dove tutte le vacche sono nere.
Jean-Luc Melenchon, il candidato alle presidenziali francesi alla sinistra del partito socialista si definisce «populista». Come mai?
Dardot: Melenchon rivendica il populismo teorico di Laclau ed è ispirato da Chantal Mouffe. Sorvola sugli aspetti più criticabili del chavismo, il culto della personalità del capo. Il suo movimento si chiama La France Insoumise (La Francia ribelle). Non è un appello alla ribellione del popolo contro lo Stato, ma a un paese che si ribella ai poteri esterni che ne condizionano la sovranità. La componente nazionalista è presente sin dal nome che questo movimento si è dato. Il riferimento è alla pretesa della rivoluzione francese dove la nazione pretendeva di incarnare l’universale. Questo è il modello Robespierre.
Anche l’estrema destra di Marine Le Pen intende riarmare la nazione contro la globalizzazione. Come si spiega questo convergente disaccordo?
Laval: Questo discorso deriva dalla corrente neofascista del Front National. Nell’estrema destra francese la commistione con un discorso socialista non è nuova. Alla fine del XIX ha riscoperto un discorso di tipo socialista. Questa commistione non è nuova: Maurice Barrès alla fine del XIX secolo aveva definito il suo movimento come «socialista nazionale». Se Le Pen padre aveva un orientamento neoliberista puro alla Reagan, Le Pen figlia ha riscoperto il sovranismo e il protezionismo mescolandoli con alcune tesi del socialismo sovranista e gaullista di Jean-Pierre Chevènement. È una politica ambigua che invoca la protezione statale contro la deregolamentazione. Anche per questo persone di sinistra voteranno Front National alle presidenziali. In generale, esiste un orientamento nazionalistico tra chi sostiene che il prossimo presidente dovrebbe andare a Bruxelles per riorientare la politica europea a favore degli interessi francesi. La Francia si considera un paese del Nord Europa, quella dei dominanti. Nessuno pone il problema della cooperazione con i paesi dell’Europa del Sud, vittime dell’asimmetria che oggi premia la Germania.
Perché l’uscita dall’euro è considerata una bandiera?
Dardot: Si vuole restaurare il potere sovrano dello Stato: battere moneta. Chi a sinistra è ipnotizzato dall’uscita dall’euro la riprende e incorre nella confusione della destra che non distingue tra sovranità popolare e sovranità dello stato-nazione. È un’illusione perché lo stato-nazione costituisce una forma attraverso la quale oggi si esercita il potere delle oligarchie. Il loro potere non è sinonimo di sovranità dello stato-nazione, ma di poteri transnazionali che hanno interessi diversi dal popolo che intendono governare. Senza contare che da più di una generazione gli stati-nazione stanno privatizzando alcune funzioni della sovranità: quella militare, ad esempio. Dalla prima guerra del Golfo in poi è diventato evidente la sua cessione verso agenzie private.
Avete proposto una federazione internazionale composta di coalizioni democratiche. In cosa consiste?
Laval: Siamo favorevoli alla ripresa dell’ispirazione che ha fondato la prima internazionale nel XIX secolo. Non pensiamo a un’internazionale dei partiti sul modello delle altre internazionali che svilupparono la loro azione a livello nazionale. Pensiamo invece a una federazione di associazioni, sindacati, cooperative e anche di partiti.
Qual è la differenza con l’altermondialismo dei social forum?
Laval: Quelli erano luoghi di discussione, non di azione contro il sistema neoliberale mondiale. Il modello è quello delle società operaie il cui statuto garantiva a chiunque di aderire direttamente all’associazione internazionale saltando i livelli intermedi. Nessuna organizzazione può mediare la volontà dei singoli e i singoli possono partecipare direttamente, al di là della nazionalità. Questa soluzione potrebbe tutelare i migranti dal potere discrezionale degli stati, ad esempio.
Per federazione intendete anche un’istituzione politica?
Dardot: L’Unione Europea, così com’è, è detestabile. La federazione è un modello politico alternativo che potrebbe ispirare un’organizzazione internazionale aperta con l’obiettivo di federare i popoli europei nell’ottica di una co-partecipazione agli affari pubblici. L’Europa ha bisogno di una prospettiva internazionale per rifondare la democrazia in Europa su altre basi rispetto a quelle neoliberali, non per combattere per la sovranità dello stato-nazione.