Tommaso Pincio
Dovendo andare nella giungla, preferireste avere con voi un'ascia o un amico? Molto probabilmente la paura di affrontare da soli insidie a cui non siamo più avvezzi suggerirebbe di propendere per la seconda possibilità. Ma è ancor più probabile che i nostri antenati ragionassero in modo affatto diverso: non ci avrebbero pensato due volte a sacrificare un amico in cambio di un'ascia. Si dirà che ci siamo evoluti, la nostra sensibilità si è affinata inducendoci a valutare le cose diversamente.
D'altro canto, è proprio grazie all'estremo senso pratico di chi ci ha preceduto se siamo cambiati quel tanto da considerare una persona più importante di un arnese qualunque. Tutto ciò potrà apparire scontato, giacché il discernimento è il tratto che più ci distingue dagli animali, incluse le scimmie, che pure tanto ci somigliano e dalle quali pare discendiamo. Il guaio è che tendiamo spesso a sopravvalutarci, attribuendoci qualità che solo in parte ci appartengono. La soluzione del dubbio fra l'amico e l'ascia dovrebbe essere una scelta di buon senso e in quanto tale immutabile nel tempo, ciò nonostante si è evoluta. Come mai? Erano i nostri predecessori a peccare di brutalità o siamo noi ad eccellere in saggezza? A giudicare da certe contemporanee storture parrebbe quasi l'inverso. C'è poi un altro nostro aspetto che cozza fortemente con il buon senso di cui andiamo fieri: l'enorme diffusione di credenze più o meno improbabili. Oroscopi, superstizioni, religioni, fanatismi. «Credere con passione in ciò che chiaramente non è vero è la principale occupazione dell'umanità» diceva Henry Louis Mencken, acerbo critico della società americana. Come dargli torto? Una buona fetta d'umanità preferisce toccare ferro o informarsi sui transiti di Saturno piuttosto che affidarsi a spiegazioni razionali e scientifiche. Molte nostre irragionevoli inclinazioni sembrano quanto di più lontano si possa immaginare dalla tecnologia, eppure eccoci qua. Come conciliare questa apparente contraddizione? L'antropologo Clifford Geertz ha notato che non si è ancora prestata la dovuta attenzione a cosa in effetti sia il buon senso. Di solito, pensiamo al buon senso come qualcosa che ci consente di soppesare gli eventi in modo ragionevole ed efficace così da affrontare al meglio i problemi della vita quotidiana. Capire che il fuoco brucia o l'acqua bagna è una conquista alla portata di tutti, anche degli idioti. Il buon senso è quello scarto in più che permette all'individuo di prendere le dovute precauzioni. Cercare di porre rimedio alla siccità con la danza della pioggia non è probabilmente una soluzione dettata dal buon senso, ma era comunque quella prevalente nelle tribù primitive. È ormai un bel po' che ci siamo lasciati l'età della pietra alle spalle, ma alle danze della pioggia non ci abbiamo ancora rinunciato del tutto. Lewis Wolpert, noto biologo, ha cercato di dare una risposta al problema in un agile quanto arguto volume, Sei cose impossibili prima di colazione.
Il titolo è un omaggio a Lewis Carroll. In Attraverso lo specchio , infatti, quando Alice nega di poter credere in qualcosa d'impossibile, la Regina Bianca obietta: «Mi sembra che tu non abbia molta pratica. Alla tua età mi esercitavo mezzora al giorno. Certe volte arrivavo a credere anche a sei cose impossibili prima di colazione». Wolpert sostiene che questa assurda sorta di allenamento ha una sua ragione di essere ed è anche alla base del meccanismo evolutivo che ci porta a preferire un amico a un'ascia. L'idea è che tutte le nostre credenze, dalle più sciocche alle più sofisticate quali le grandi fedi religiose, sono nate quando gli uomini cominciarono a fabbricare utensili. Ricordate la famosa scena di 2001: Odissea nello spazio , quella in cui una scimmia raccoglie un osso e si rende conto di poterlo usare come un'arma per dominare i suoi compagni? Ebbene, secondo Wolpert, a partire da quel fatidico momento la struttura del cervello avrebbe iniziato a mutare.
La selezione naturale avrebbe fatto il resto premiando gli individui la cui mente era più portata a individuare relazioni di causa ed effetto. In teoria, nulla è più razionale del principio di casualità. Tuttavia un osso è un osso, vederci la possibilità di diventare un capo richiede un notevole sforzo d'immaginazione. Guardandolo per quello è, un osso può diventare un'arma né più né meno come un corno può rivelarsi un efficace strumento contro le sciagure. È dunque probabile che la selezione naturale abbia premiato quei geni che consentono al cervello di stabilire nessi di causa ed effetto tra le cose anche dove apparentemente non ve ne sono. Per molti sarà blasfemo, ma anche le religioni sono frutto di questa programmazione genetica. «Una volta sviluppate le credenze casuali in relazione agli strumenti, e una volta sviluppato il linguaggio, fu inevitabile che le persone desiderassero comprendere le cause di tutti gli eventi che influenzavano la loro vita, dalla malattia ai cambiamenti climatici, alla morte stessa. Una volta nato il concetto di causa ed effetto, l'ignoranza smise di essere una beatitudine». In altre parole, l'umanità scoprì il tormento dell'incertezza riguardo l'origine e il futuro di cose d'importanza primaria, trovandosi di fronte alla necessità di superare la paura che ne derivava. La religione si mostrò un ottimo strumento, poiché promuoveva l'ottimismo e la speranza, offriva ai credenti la sensazione che la vita abbia uno scopo e un significato. Wolpert ammette che le prove a sostegno della sua tesi sono ancora frammentarie, ma è altresì convinto che quando sapremo di più sul funzionamento del cervello «sarà tutto molto più chiaro e interessante». Non per nulla conclude le sue riflessioni con una citazione da Virgilio: «Felice è chi ha potuto conoscere la causa delle cose». Il che, in fondo, è un modo come un altro per dire: basta crederci.
LIBRI LEWIS WOLPERT, SEI COSE IMPOSSIBILI PRIMA DI COLAZIONE CODICE, TRAD. SIMONETTA FREDIANI, PP. 209, EURO 21
ilmanifesto.it
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