3.5.13

Bernanke mette all’opera gli Stati Uniti

Elisa Maiucci (Formiche)

I dati sulla disoccupazione negli Stati Uniti, gli effetti della politica monetaria espansiva della Fed e le Borse (non solo quella americana) brindano un po'...

Più soldi nelle tasche dei cittadini, più consumi, più lavoro. Così, tra un aumento e l’altro, il grande risultato degli Stati Uniti riguarda un calo, quello della disoccupazione. E se tutto parte dalla liquidità presente sul mercato e dal sostegno alla domanda, gli americani possono dire grazie agli 85 miliardi di dollari iniettati mensilmente dalla Fed di Ben Bernanke, la cui priorità è infatti quella di raggiungere la soglia del 6,5% di disoccupazione nel Paese.

I dati Usa a confronto con quelli dell’eurozona

Il tasso di disoccupazione negli Usa ad aprile è calato infatti al 7,5%, dal 7,6%, con gli occupati che salgono di 165mila unità contro una attesa di 145mila e toccando il il livello più basso dal dicembre del 2008. Poco male rispetto al tasso del 12,1% di disoccupazione nell’Eurozona, che vede senza lavoro oltre 19 milioni di persone. Un trend negativo per cui neanche a Bruxelles, come sottolineato oggi dal commissario agli Affari economici Olli Rehn, si prevede un’inversione di tendenza nel corso dell’anno.

Bene il privato, meno il pubblico

In aprile sono stati creati 176.000 posti di lavoro nel settore privato, con buoni aumenti soprattutto per quanto riguarda i servizi professionali e aziendali, ristoranti e retailer. In calo invece di 8.000 unità i posti di lavoro pubblici, la metà dei quali nelle Poste.

Salari in aumento

Grazie a un commercio più florido, a migliorare sono anche le buste paghe. I salari medi sono cresciuti di 4 centesimi a 23,87 dollari all’ora, mentre la settimana di lavoro media è calata di 0,2 ore a 34,4 ore. Il tasso di disoccupazione calcolato includendo anche i lavoratori scoraggiati e quelli che lavorano part time ma vorrebbero un tempo pieno è cresciuto dal 13,8 al 13,9%.

La decisione della Fed

I dati sulla disoccupazione arrivano all’indomani dell’annuncio, da parte della Federal Reserve, sulla conferma del programma di acquisti di asset a un ritmo di 85 miliardi di dollari al mese. Ma la banca centrale guidata da Bernanke ha dichiarato di essere pronta ad aumentare o diminuire la quantità degli acquisti secondo l’evolversi del mercato del lavoro e del livello d’inflazione. La Federal Reserve ha quindi lasciato invariato il costo del denaro, con i tassi di interessi che restano fermi in una forchetta tra lo 0 e lo 0,25%. I programmi della Fed si concentrano sull’acquisto dei titoli a lunga scadenza, sostenendo il mercato azionario e obbligazionario americano.

La cinghia di trasmissione negli Usa

Ma perché le politiche espansive di Fed e Bce viaggiano su strade diverse se si considerano gli effetti sul mercato del lavoro? “I mercati notano la differenza con la Federal Reserve che applica una politica molto più energica di acquisti di bond, pompando effettivamente liquidità che arriva all’economia: vedi la ripresa del mercato immobiliare”, spiega Federico Rampini su Repubblica.it.

Il meccanismo europeo inceppato in mano alle banche

D’altra parte, anche la Bce ha deciso anche di proseguire nella sua politica espansiva. Le operazioni di rifinanziamento illimitato continueranno anche nel 2014. “E’ la versione europea del quantitative easing americano; qui la moneta non cade dall’elicottero (una frase di Milton Friedman ricordata da Ben Bernanke, il presidente della Federal Reserve), ma deve passare attraverso il canale bancario perché l’Europa non ha un mercato dei capitali grande e strutturato come quello americano. L’Europa è totalmente in mano alle banche. Le quali, però, tengono tutta questa moneta in cassaforte e non la prestano perché non si fidano. Né di loro stesse, cioè della solidità del sistema creditizio, né della economia nel suo insieme. Ciò valga da riflessione per chi continua a vantare la superiorità del modello europeo”, sottolinea invece Stefano Cingolani sul suo blog ospitato sul sito di Panorama.

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