Giuseppe Caliceti
Anche quest'anno ci sono polemiche a proposito dei
famigerati test Invalsi nella scuola. Chi dice che sono indispensabili,
chi dice che fanno male ai bambini e alla scuola. Io, per esempio, la
penso come questi ultimi. Vorrei porre però la questione, per una volta,
in modo diverso dal solito, ponendo una semplice domanda, sia ai
favorevoli che a chi non lo è. La domanda
è questa: che rapporto c'è tra quello che chiedono agli studenti i test
Invalsi e quello che noi docenti insegniamo loro? O, in modo ancora più
preciso: che rapporto c'è tra l'idea di scuola e di formazione che c'è
dietro ai test Invalsi e l'idea di scuola che è descritta nella nostra
Costituzione? Lo chiedo perchè ho la sensazione che ci siano idee
differenti. E che i programmi e i dettati scolastici della nostra scuola
di oggi – fortunatamente, per quanto mi riguarda, - non coincidono
assolutamente con quelli che poi si chiede nei test agli studenti,
creando una situazione di vera e propria schizofrenia e confusione non
solo tra gli studenti, ma anche tra i docenti. Un esempio, ai docenti
viene richiesto dalla scuola della Costituzione la promozione delle
“domande aperte” agli studenti, ma l'Invalsi ha test chiusi, a crocetta.
Non è richiesto allo studente di compiere analisi e sintesi rispetto a
ciò che apprende, né di avere un'opinione o un minimo senso critico. I
test sono pensati piuttosto, nella maggioranza dei quesiti, come domande
a risposta blindata, forse in grado di accertare livelli minimi di
capacità di calcolo matematico o di competenze grammaticali o
sintattiche, ma senza andare oltre. Anche questa faccenda che non
entrano nella valutazione di altre materie, che senso ha? Insomma,
perchè insegnamo ai nostri studenti tanti contenuti, se poi viene
richiesto loro solo una abilità di comprensione di un solo genere di
testo? E questo solo per quanto riguarda lo studio della lingua
italiana, naturalmente. Delle altre materie non si accenna neppure. Alle
superiori, per esempio, ore e ore sono passate a studiare la storia
della letteratura italiana, ma le prove Invalsi non richiedono nulla su
questo. Dunque? Che senso ha? Inoltre, ammettiamolo, la “cultura del
test” nel tempo crea studenti meno capaci di esporre e di argomentare
in modo coerente e corretto, sia oralmente sia per iscritto: è questo
che vogliamo? Non erano meglio forse i vecchi esami in seconda e quinta
elementare, a questo punto? Ancora: se il nostro unico strumento di
valutazione di una persona che sta crescendo è un test, non si perdono
forse tutti quei segnali verbali e non verbali che lo studente ci mette a
disposizione nel percorso didattico? Siamo sicuri che misurazione e
valutazione sono sinonimi? Ma poi, quali sono gli obiettivi dei test?
Come e quando avviene la loro restituzione a docenti, studenti, genitori
degli studenti?Perchè questa restituzione non è trasparente? Quali sono
i livelli minimi di qualità del sistema di istruzione da garantire?
Quale modello di scuola si intende realizzare? Com’è possibile stabilire
un modo chiaro per verificare se gli obiettivi siano stati raggiunti o
meno? Ancora: i responsabili dell'Invalsi sono a conoscenza che in
Finlandia e negli Stati Uniti, con i test, si è rilevato un calo nei
risultati di apprendimento? E le inevitabili didattiche finalizzate ai
test, oltre a compromettere o meno la libertà di insegnamento, siamo
sicuri che facciano bene agli studenti?
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