di DAVIDE TANCREDI (nome fittizio)
CARO direttore, questa 
lettera è, forse, la mia unica alternativa al suicidio. Ciò che mi ha 
spinto a scrivere è la notizia di un gesto avvenuto nella cattedrale 
parigina. Un uomo, un esponente di destra, si è tolto la vita in modo 
eclatante sugli scalini della famosa chiesa per manifestare il proprio 
disappunto contro la legge per i matrimoni gay deliberata dall'Assemblea
 Nazionale francese.
Nonostante gli insegnamenti dalla morale 
cristiana, io ritengo che il suicidio sia un gesto rispettabile: una 
persona che arriva a privarsi del bene più prezioso in nome di una cosa 
in cui crede, merita molta stima e riguardo; ma neppure questa 
considerazione riesce a posizionare sotto una luce favorevole quello che
 mi appare come il gesto vano di un folle. La vita degli altri continua 
anche dopo la fine della nostra. Siamo destinati a scomparire, anche se 
abbiamo riscritto i libri di storia. Morire per opporsi all'evolversi di
 una società che tenta di diventare più civile è ottusità e evidente 
sopravvalutazione delle proprie forze.
Il Parlamento italiano 
riscontrando l'epico passo del suo omologo d'oltralpe ha subito 
dichiarato di mettersi in linea per i diritti di tutti. Una promessa ben
 più vana del gesto di un folle. Tutti sappiamo come il nostro Paese sia
 l'ultimo della classe e che non ci tenga ad apparire come il più 
progressista. Si accontenta di imitare o, peggio ancora, finge di farlo.
 La cultura italiana rabbrividisce al pensiero che   due persone dello 
stesso sesso possano amarsi: perché è contro natura, perché è contro i 
precetti religiosi o semplicemente perché è odio abbastanza stupido da 
poter essere italiano. Spesso ci si dimentica che il riconoscimento dei 
matrimoni omosessuali non significa necessariamente affidare a una 
coppia "anormale" dei bambini ma permettere a due individui che si 
vogliono bene di amarsi. In questo consiste il matrimonio, soprattutto 
nella mentalità cattolica. E allora perché quest'ostinata battaglia?
Io
 sono gay, ho 17 anni e questa lettera è la mia ultima alternativa al 
suicidio in una società troglodita, in un mondo che non mi accetta 
sebbene io sia nato così. Il vero coraggio non è suicidarsi alla soglia 
degli ottanta anni ma sopravvivere all'adolescenza con un peso del 
genere, con la consapevolezza di non aver fatto nulla di sbagliato se 
non seguire i propri sentimenti, senza vizi o depravazioni. Non a tutti è
 data la fortuna di nascere eterosessuali. Se ci fosse un po' meno 
discriminazione e un po' più di commiserazione o carità cristiana, tutti
 coloro che odiano smetterebbero di farlo perché loro, per qualche 
sconosciuta e ingiusta volontà divina, sono stati fortunati. Io non 
chiedo che il Parlamento si decida a redigere una legge per i matrimoni 
gay  -  non sono così sconsiderato  -  chiedo solo di essere ascoltato.
Un
 Paese che si dice civile non può abbandonare dei pezzi di sé. Non può 
permettersi di vivere senza una legge contro l'omofobia, un male che 
spinge molti ragazzi a togliersi la vita per ritrovare quella libertà 
che hanno perduto nel momento in cui hanno respirato per la prima volta.
 Non c'è nessun orrore ad essere quello che si è, il vero difetto è 
vivere fingendosi diversi. Noi non siamo demoni, né siamo stati toccati 
dal Demonio mentre eravamo in fasce, siamo solo sfortunati partecipi di 
un destino volubile. Ma orgogliosi di esserlo. Chiediamo solo di 
esistere. 
 
 
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