Gian Antonio Stella   (corriere.it)
Solo nel nostro Paese è possibile che un segretario del Senato in pensione guadagni il triplo del Capo dello Stato 
Non  c'è Paese al mondo dove un segretario generale del Senato in pensione  guadagni con l'aggiunta della prebenda di consigliere di Stato quasi il  triplo del capo dello Stato. Solo in Italia succede. È l'effetto del  patto sventurato che lega da decenni una classe politica per sua stessa  ammissione sempre più mediocre e una struttura burocratica resa  arrogante proprio dalla inferiorità del ceto dirigente. Ma l'emergenza  delle emergenze al governo Letta non appare tale. C' è una riforma che  non costerebbe niente. Meglio: non costerebbe in soldi. Il prezzo da  pagare sarebbe la rottura di quel patto sventurato che lega da decenni  una classe politica per sua stessa ammissione sempre più mediocre e una  struttura burocratica resa sempre più forte, fino all'arroganza, proprio  dalla inferiorità del ceto dirigente. Via via diventato schiavo degli  alti funzionari, gli unici capaci dentro questo meccanismo infernale di  scrivere una legge, di infilarla nel groviglio legislativo esistente e  poi di interpretarla.
Un servaggio, come è noto, pagato caro: non  c'è Paese al mondo dove un segretario generale del Senato in pensione  guadagni con l'aggiunta della prebenda di consigliere di Stato quasi il  triplo del presidente della Repubblica. Da noi sì. Va da sé che i  beneficiati di questa «abnormità» non hanno interesse a cambiare un  sistema in cui un funzionario parlamentare prende più di un deputato. 
L'ha  scritto Max Weber: «Ogni burocrazia si adopera per rafforzare la  superiorità della sua posizione mantenendo segrete le sue informazioni e  le sue intenzioni». Lo hanno ripetuto Alberto Alesina e Francesco  Giavazzi: la prima cosa da fare, prima ancora di costruire strade e  ponti, è cambiare la burocrazia perché quale «beneficio arreca a  un'impresa risparmiare mezz'ora fra Civitavecchia e Grosseto se poi deve  attendere dieci anni per la risoluzione di una causa civile» o almeno  «un anno per essere pagata da un'amministrazione pubblica»? Aggiungiamo:  è colpa solo della Fiom o del costo del lavoro se negli ultimi anni gli  investimenti esteri in Italia si sono dimezzati (dal 2 all'1,2% del  totale mondiale: dati Confindustria) o piuttosto di un quadro  burocratico asfissiante dove, denuncia Confcommercio, «ci vogliono 41  procedure per far rispettare un contratto e 1.210 giorni per ottenere  una sentenza che tuteli l'impresa»?
All'Aquila sono state emanate tra leggi speciali e  direttive del Commissario, atti delle Strutture di Gestione  dell'Emergenza e dispositivi della Protezione Civile e bla-bla, 1.109  norme più allegati: non mancano solo i soldi per ricostruire, manca il  buon senso. Al punto che, se non cambia qualcosa, c'è da scommettere che  finirà col solito decreto d'emergenza che permetta di eludere l'eccesso  di regole. Già visto: lo Stato che aggira lo Stato perché incapace di  cambiare se stesso. 
È dunque un peccato notare come, a scorrere  agenzie ed archivi, l'emergenza delle emergenze non appaia al governo  Letta una vera emergenza. Due accenni nel discorso d'investitura, due  flashes dell'Ansa: e centrati più che altro contro la cappa della  burocrazia europea. 
La scelta degli uomini giusti per questa guerra che  dovrebbe essere a tutti i costi vinta, del resto, dice tutto. Non  vogliamo neppure entrare nel merito delle qualità e dei curriculum del  ministro Giampiero D'Alia e dei suoi vice, Gianfranco Micciché e  Michaela Biancofiore dirottata dalle Pari Opportunità dopo le sparate  sui gay. Ma sfidiamo chiunque a sostenere che siano stati messi lì, a  combattere la più difficile delle battaglie, perché individuati come i  migliori che c'erano sulla piazza per ripulire, disboscare,  semplificare. 
La verità è che li hanno collocati lì, purtroppo,  perché il bilancino degli equilibri tra i partiti prevedeva di dar loro  una poltrona o almeno uno strapuntino. E quello è considerato,  sventuratamente, un ministero di serie B. Se non di serie C. La  revisione della Costituzione venne affidata al grande Concetto Marchesi.  Senza offesa: vuoi mettere la differenza?
 
 
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