di Cristina Piccino
«Da Sodoma a Hollywood», quando i film cambiano la vita. E i piaceri Il festival dedicato alla produzione gay, lesbica, bisex e transgender, scopre in Italia Adorfo Arrieta, spagnolo, migrante a Parigi nel '68, narratore di fiabe nere e di erotismi ribelli. Incubi di bimbe e esistenze marginali, la passione per Sade e Cocteau. In gara, tra gli altri, «Serbis» di Brillante Mendoza, la nuova onda filippina che rivoluziona i codici della visione
Un occhialino per il 3-D, lenti fucsia e azzurre: «Da Sodoma a Hollywood, sottotitolo «I film che cambiano la vita», e il festival torinese glbt ha ventiquattro anni, di visioni ne ha «stralunate» parecchie. L'idea di un cinema omosessuale, anzi glbt - gay, lesbico, bisex, transgender - che sperimenta nel tempo, è spazio del pensiero e di resistenza politica, culturale, emozionale, e dire il cinema che cambia la vita non è soltanto una molto efficace invenzione di promozione. Quando il festival comincia le sue battaglie, a metà degli anni Ottanta, in Italia il cinema gay e lesbico è per pochi: visioni sparse, casuali, molta censura, e il tabù pesante come un macigno che è il sesso. Il segno politico del cinema gay e lesbico, e la sua cifra poetica, è rivendicare la propria specificità, il modo di raccontare, la potenza desiderante delle immagini. Col tempo le storie sono cambiate, e così il modo di raccontarle, seguendo la necessità di uscire dallo «specifico» del genere senza che questo comunque significhi smussare la carica antagonista.
Ecco, il festival glbt di Torino è stato e continua a essere il laboratorio privilegiato per questi passaggi, che sono confronto tra generazioni diverse, talvolta conflitto di sguardi e punti di vista, miscela di gusti, colori, allegria, durezza nel rimodellare le forme della realtà. Ci possono essere storie d'amore, paesi diversi, «classici» amatissimi dalle storie del cinema o rarità invisibili: ciò che conta è far circolare una cultura e una consapevolezza, liberare zone del pensiero, costruire sinergie e complicità. Una cosa fondamentale nell'Italia di oggi come era in quella di ventiquattro anni fa, anzi forse di più visto che ora molto si da per scontato e invece, l'esperienza quotidiana dimostra spesso il contrario.
Forse è per questo che passare a Torino, a questo festival, è sempre bello: per gli amici e per l'atmosfera vitale che circola nelle sale (il cinema Ambrosio) e negli spazi festivalieri, nonostante la pioggia che inonda la città da giorni.
C'è una figura strana nell'oscurità della stanzetta, una figura maschile: la bimba sul letto dorme, all'improvviso si sveglia, vede l'uomo e grida lanciando un oggetto contro alla finestra che va in pezzi. Un sogno, un incubo, la rassicura il padre, se avessi aspettato qualche secondo i contorni della sagoma oscura sarebbero svaniti, come vuole la materia dei sogni. La bimba non è convinta, lei quell'uomo, un pompiere, sa di averlo visto, e non è nemmeno la prima volta ... Passano gli anni, la bimba cresce, il pompiere è l'oggetto erotico delle sue passioni, l'amante segreto che quel gioco infantile spinge a entrare di nascosto nelle sue notti dalla finestra nella casa del padre ... Adorfo Arrieta: deliri d'amore è il titolo della retrospettiva dedicata al regista spagnolo, una scoperta i suoi film eccentrici, col gusto di chi ama Sade e le fiabe che ci dicono di uno strano intontimento sul filo del sogno e della veglia. I giochi di specchi, e lo scambio dei sessi, l'erotismo giocoso e ribelle, come il suo cinema, al genere. Il film di cui parlavo si chiama Flammes ('78), lo interpretano tra gli altri Caroline Loeb, Marilù Marini, Pascal Gregory, Arrieta è di Madrid ma a un certo punto, nel '68, va a vivere a Parigi, frequenta Jean Eustache e il suo gruppo (Caroline Loeb aveva lavorato col regista di la Maman et la putain), è amico di Cocteau, vive in casa di Marguerite Duras quando gira un'altra fiaba nera che Pointilly ('72). Sono un'esperienza spiazzante i suoi film, fuoriformato nonostante le molte passioni dichiarate (cinefile e non solo) disseminate come in una girandola o in un labirinto.
Tam Tam ('76) è la storia di un «party organizzato per un libro che nessuno ha letto ma di cui tutti parlano» (sono parole del regista), lo hanno definito il primo film underground parigino, vicino a Warhol o a Jack Smith, racconta di esistenze marginali, è realtà di fantasia sovversiva.
Una scoperta Arrieta, e non solo glbt, come i film di questo festival, la cui sfida ricomincia ogni volta da questa libertà. Un film come Serbis, in gara, di Brillante Mendoza (regista che sarà in concorso al prossimo festival di Cannes) va visto e fatto vedere in Italia perché Mendoza è uno dei cineasti delle nuove onde filippine, che col loro cinema indipendente e a diverse gradazioni di radicalità, stanno riconquistando l'immaginario colonizzato del paese. L'«indio nacional» di Raya Martin, altro geniale autore filippino, composito visto che ognuno di questi cineasti è diversissimo nel modo di metabolizzare l'onnipresenza americana e occidentale trasformandola in critica «glocal», politica, e radicale. Che al tempo stesso destabilizza i codici di tutto il cinema contemporaneo.
Serbis ci porta in una sala porno a Manila gestita da una famiglia filippina. I ragazzi si prostituiscono, fanno l'amor per pochi denari, o anche solo per piacere, qualcuno si incontra lì perché non ha altri posti dove andare. E mentre le trame delle vite si intrecciano, clienti e famiglia, scorre questo melò di povertà, rabbia, tenerezza. Mendoza usa la nostalgia del vecchio cinema a luci rosse come set di commedia, sentimenti, serialità dove il presente delle Filippine si mette in scena e diviene cinema.
ilmanifesto.it
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