21.4.09

Solidarietà e referendum

Mario Deaglio

Il finanziamento della ricostruzione dell’Aquila pone una serie di problemi complessi che vanno dalla politica economica alla lotta politica e che partono da un’osservazione fondamentale: i soldi per la ricostruzione non possono essere spesi tutti subito ma, per i tempi tecnici della spesa - ai quali si spera che non si debbano aggiungere ritardi anomali della burocrazia - dovranno essere «spalmati» su un certo numero di esercizi finanziari, diciamo 3-4 anni nel migliore dei casi.
Sarebbe appropriato che il prossimo Consiglio dei Ministri indicasse, sia pure a grandi linee, non solo l’ammontare della spesa complessiva ma anche la sua probabile scansione temporale. In ogni caso, se si accetta per buona la stima sommaria di 12 miliardi di euro, l’entità della spesa equivale all'incirca a una manovra finanziaria. Anche se tale spesa sarà diluita in qualche anno, occorre domandarsi come possa digerire una medicina così pesante un paziente qual è l'economia italiana, già appesantito da un pesantissimo fardello di debiti e deficit. E

in qualunque modo si affronti la questione, l'Europa gioca, in maniera sia diretta sia indiretta, un ruolo importante nella risposta. Direttamente, è legittimo attendersi lo stanziamento di fondi speciali europei per aiutare la ricostruzione e l'abbuono all'Italia di versamenti dovuti all'Unione Europea in questo e nei prossimi 3-4 anni. E questo perché siamo di fronte alla maggiore calamità naturale di un Paese dell'Unione Europea nel nuovo secolo e il Trattato di Maastricht prevede esplicitamente (all’articolo 103 A) un'«assistenza finanziaria comunitaria» allo Stato membro qualora questo si trovi in «gravi difficoltà» a seguito di «calamità naturali». L’aiuto dell’Unione Europea può inoltre essere indiretto in quanto all’Italia sia consentita una modifica del piano di rientro dal debito e dal deficit che era stato concordato prima del terremoto. Il che darebbe via libera al reperimento sul mercato della parte maggiore dei fondi necessari. Ci si può ragionevolmente attendere che questa «dimensione europea» del finanziamento giunga a coprire, su 3-4 anni appunto, più della metà della somma necessaria. Che fare per la parte restante? È inevitabile che si concorra con una pluralità di fonti, ciascuna di entità relativamente modesta ma dal notevole valore pratico e simbolico. Si potrebbe cominciare con qualche vendita di oro, il prezioso «metallo giallo» di cui l'Italia detiene una quantità spropositata (è al quarto posto nella classifica delle riserve auree) nel rispetto degli accordi internazionali che limitano questo tipo di operazioni. Anche se in passato analoghe proposte si sono scontrate con un’incomprensibile ritrosia, questo è il momento di metter mano, sia pure in piccola parte, ai gioielli di famiglia. Non sarebbe irragionevole pensare di ricavare, in tempi brevi, circa 400-500 milioni di euro dalle vendite delle quantità relativamente modeste di oro delle nostre riserve. Sarebbe ugualmente non irragionevole la richiesta di un contributo specifico ai parlamentari e anche a chi ricopre cariche elettive a livello regionale o locale, oltre che agli eletti al parlamento europeo: si tratterebbe, certo, solo di poche decine di milioni di euro ma sarebbero prova tangibile di solidarietà da parte di chi gode di numerosi trattamenti di favore, spesso nettamente superiori a quelli in vigore in altri Paesi europei per le medesime cariche.
Un contributo specifico dal mondo della politica avrebbe senso in un contesto in cui si pensasse a un'addizionale sui redditi elevati (sopra i centomila euro lordi annui), già colpiti da aliquote marginali superiori a quelle degli altri redditi. Si tratta complessivamente di poche persone (poco più di centomila, i «soliti noti») in un Paese in cui i redditi da capitale vengono tassati separatamente, il che riduce legalmente la visibilità fiscale dei «grandi redditi» e potrebbe portare nelle casse dello Stato circa 400-500 milioni di euro. Sempre che si tratti di un’imposta una tantum e non, come è stato purtroppo frequente nella storia fiscale di questo Paese, di un’addizionale che da straordinaria diventa ordinaria. Si potrebbe anche cercare di far pagare un poco gli evasori devolvendo alla ricostruzione abruzzese una quota dei proventi derivanti dalla lotta all’evasione fiscale che, in quest’occasione, potrebbe essere ancora potenziata. In questo contesto di attenta e risicata ricerca di risorse non avrebbe senso, ma sarebbe anzi un insulto alla solidarietà nazionale emersa spontaneamente in questi giorni, che una somma di poco inferiore al gettito dell’eventuale addizionale una tantum venisse scialacquata in pochi giorni con le spese per un referendum che, per i capricci o i calcoli politici della Lega, non si vuole accorpare con le altre consultazioni elettorali dei prossimi mesi. E non avrebbe senso, in un momento in cui si chiedono sacrifici «mirati» a categorie specifiche di italiani, cercare risorse offrendo vantaggi ad altre categorie, come sarebbe il caso di un nuovo «scudo fiscale» per chi rimpatria capitali dall'estero. Il Consiglio dei ministri di venerdì dovrà muoversi con ragionevolezza in questo insieme di scelte intricate se non vorrà sciupare il «capitale politico» che la gestione della prima fase dell’emergenza terremoto gli ha indubbiamente procurato. mario.deaglio@unito.it
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