Benedetto Vecchi
La morte dello scrittore inglese. Dalla guerra civile molecolare ai riti identitari legati al consumo, fino alla disperata rivolta contro il mondo delle merci. La lucida preveggenza di un autore che ha scelto come protagonisti dei suoi romanzi i conflitti di cui sono pervase le società contemporanee
I romanzi di James Ballard alimentano ricezioni che non ammettono mezze misure. Possono essere molto amati, oppure valutati come opere scadenti, con una scrittura algida e poco curata, dove il «non detto» dei personaggi annichilisce ogni «economia dell'attenzione». Eppure Ballard è stato un buon artigiano della scrittura, se con questo si intende la capacità di gettare luce sui lati oscuri della società contemporanee. Al di là delle qualifica di scrittore di fantascienza, Ballard è stato infatti un accurato cartografo dei conflitti sociali del presente. Non che la qualifica di scrittore di genere gli desse fastidio. Per Ballard significava solo che scrivere era divenuto il suo lavoro, come testimoniano le decine di racconti scritti per riviste di science fiction e pubblicati dagli anni Cinquanta agli anni Settanta e che meritoriamente la casa editrice Fanucci ha pubblicato negli anni scorsi. Una fantascienza tuttavia anomala, dove gli alieni costituivano sempre l'immagine rovesciata allo specchio dei terresti, incarnandone così gli inconfessati incubi.
D'altronde, il rapporto con l'altro è stata sempre una costante di questo inglese nato settantotto anni fa a Shangai. E che emerge con forza nel suo romanzo più citato (Crash, Rizzoli 1990, Feltrinelli 2004), che costituisce tuttavia un punto di svolta nella produzione di Ballard, perché il medium della relazione tra «umani» è individuato nel feticcio della società capitalistica del secondo dopoguerra: l'automobile. Da allora lo scrittore inglese comincia a misurarsi con tutte le parole chiave del pensiero critico. Il feticismo delle merci, ovviamente, terreno su cui Ballard ha frequentemente scorrazzato, fino a quel Regno a venire (Feltrinelli 2006) che mette in scena gli effetti tellurici costituiti dalle città cresciute come parassiti a ridosso dei mall, i grandi centri commerciali che finiscono per costituire l'unico spazio pubblico possibile per organizzare la rivolta contro le merci. Ma in Ballard è forte anche l'attenzione verso la dissoluzione della «forma metropoli» e la fuga verso le comunità recintate, dove la vita è pianificata attentamente, alimentando così sofisticate e, al tempo stesso, impalpabili tecnologie del controllo. Da Condominio (Urania 1976, Feltrinelli 2003) a Isola di cemento (Anabasi 1993, Feltrinelli 2007), da Cocaine Nights (Baldini & Castoldi 1997, Feltrinelli 2008) a Super Cannes (Feltrinelli 2000), la metropoli diviene il teatro per una guerra civile molecolare, esito obbligato della crisi irreversibile dell'ordine sociale capitalistico.
Ed è stata questa sua «preveggenza» che lo ha reso l'autore più amato dagli scrittori cyberpunk. William Gibson e Bruce Sterling non hanno infatti mai nascosto i loro debiti verso di lui. Un'affinità elettiva dovuta al fatto che in Ballard non c'è nessuna apologia delle virtù salvifiche della tecnologia. Per Ballard, la tecnologia è semplicemente divenuta parte integrante del vivere in società. Non c'è più quindi nessun paradiso naturale perduto da invocare, ma solo la constatazione che la simbiosi tra naturale e artificiale è parte integrante della natura umana. Cioè di quella stessa realtà sapientemente descritta dal cyberpunk, come testimoniano, per restare all'Italia, le interviste alla rivista «Decoder» e la raccolta di saggi pubblicata dalla milanese Shake.
I romanzi dell'ultimo periodo - Millennium people (Feltrinelli 2004) e Il regno a venire - si concentrano invece sulle trasformazioni sociali e politiche del capitalismo contemporaneo. Ballard prende di mira la favola della fine del conflitto sociale e di classe, sostenendo invece che la tanto mitizzata middle class è divenuta una classe produttiva, fatto che la spinge alla rivolta, che può, in pieno movimento no-global, scagliarsi contro il regime del lavoro salariato, ma anche subire una torsione razzista e sciovinista. Il bandolo della matassa da sciogliere, ma che Ballard non prova mai a sbrogliare, è cosa determina un esito piuttosto che un altro. Non è quello il compito che ha riservato a sé questo acuto cartografo delle società contemporanee. Il suo atteggiamento è sempre quello dello scanzonato ragazzo che nell'Impero del sole (Rizzoli 1986, Feltrinelli 2006) non riesce a contenere l'entusiasmo e la rabbia per gli aerei giapponesi che bombardano lo stile di vita di cui era prigioniero. Per stilare le mappe del presente occorre infatti curiosità e sguardo lucido: sentimenti e attitudine che Ballard ha sempre avuto.
manifesto.it
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