Un libro-biografia fa luce sui sette anni di presidenza di George W. Bush
Il presidente della nazione più potente al mondo piange molto più di quanto pensiamo per l'Iraq, e lo fa sulla spalla di Dio perché a Washington, di amici, ha solo il suo cane Barney. A volte si auto-compiange, ed è lì che la moglie Laura gli ricorda che in fondo l'ha voluto lui, quel lavoro. Crede che il suo calo di popolarità, sprofondata al di sotto del 30 percento, sia dovuto al fatto che è in carica da troppo tempo. Sa di aver preso decisioni non condivise da molti, ma è convinto che il mondo stia meglio grazie alla sua capacità di essere un leader. Poi però non ricorda come si arrivò allo smantellamento della polizia irachena dopo l'invasione del 2003. E' un George W. Bush come non lo si era mai visto, quello che emerge dal libro-biografia Dead Certain, in uscita domani negli Stati Uniti.
Il libro. Scritto dal giornalista Robert Draper, che segue Bush da quando era governatore del Texas, il libro è il frutto di diverse conversazioni con ufficiali della Casa Bianca, ma soprattutto di sei interviste concesse dal presidente negli ultimi nove mesi. Sciogliendosi sempre di più con il passare degli incontri, arrivando a parlare con i piedi sul tavolo, pasteggiando a hot-dog e gelati, con un sigaro spento da rigirare tra i denti. Dead Certain, un gioco di parole tra l'espressione che significa “certissimo” e le migliaia di caduti statunitensi in Iraq e in Afghanistan, svela vari retroscena con protagonista l'inquilino degli ultimi sette anni alla Casa Bianca. L'amnesia sui motivi che portarono al licenziamento di 400mila soldati iracheni – la decisione a cui molti fanno risalire l'inizio del caos nel Paese – è uno dei punti salienti: “La nostra strategia era di mantenere intatto l'esercito: non è accaduto”, ha detto Bush. “Perché? Non ricordo...comunque Hadley ha gli appunti su tutte queste cose”, ha ammesso il presidente riferendosi al suo consigliere per la Sicurezza nazionale.
Conflitti interni. Dalle pagine di Dead Certain emerge un'amministrazione Bush meno compatta di quanto si potesse pensare. L'ex consigliere-ombra Karl Rove, per esempio, cercò di convincere il futuro presidente a non scegliersi come vice Dick Cheney: troppo legato al vecchio ordine di Bush padre, per il quale fu segretario della Difesa. Nell'aprile 2006, a una cena di gabinetto alla Casa Bianca, il licenziamento di Donald Rumsfeld fu messo ai voti. Vinsero i sette sì, tra i quali quello del segretario di Stato Condoleezza Rice, mentre Bush fu in minoranza con i “no”. Il benservito al segretario della Difesa arrivò a novembre, dopo la disfatta repubblicana alle elezioni di metà mandato.
Retroscena personali. Il libro fa luce sul “dietro le quinte” dell'uomo Bush. Un presidente con la mania della mountain bike (anche il giorno prima che l'uragano Katrina colpisse New Orleans), che dispiega stuoli di collaboratori prima di ogni visita, con il compito di trovargli percorsi impegnativi e al contempo sicuri. Ma anche un leader che ha scoperto come il potere ti mette di fronte alle tue responsabilità. “L'auto-compassione è una delle cose peggiori per un presidente, e questo è un lavoro dove ce n'è in abbondanza. Il tale che disse 'se vuoi un amico a Washington, prenditi un cane', sa di cosa stava parlando”, ammette Bush. Che spiega anche di temere la noia, in vista della forzata pensione a cui andrà incontro tra un anno e quattro mesi. “Vedo un futuro in cui monto in macchina, mi annoio, vado su e giù tra Dallas e il mio ranch di Crawford”, dice. Con una frecciatina a Bill Clinton, impegnato su più fronti dopo aver lasciato la Casa Bianca, promette che “tra sei anni, non mi vedrete a gironzolare nell'atrio delle Nazioni Unite”. Ma la carriera di conferenziere, a botte di “50-75mila dollari a partecipazione, quanto prende mio padre”, non la esclude. “Giusto per riempire un po' le casse di famiglia”, spiega Bush, la cui fortuna è calcolata comunque in circa 20 milioni di dollari.
Ultimi obiettivi. Ma per quanto sia vicino alla scadenza del suo secondo e ultimo mandato, il presidente ha ancora degli obiettivi da perseguire. Per esempio, “arrivare al punto in cui i candidati alle presidenziali saranno a loro agio nel proporre di mantenere una presenza militare in Iraq”. Bush spera di arrivare a questo nei prossimi mesi. Per farlo, però, ammette che il generale David Petraeus riuscirà meglio di lui a convincere gli americani dei progressi in Iraq. “Ogni volta che inizio a descrivere una situazione in via di miglioramento, vengo criticato e poi la cosa non fa notizia”, dice il presidente, “ormai sono qui da troppo tempo”. Per alzata di mano, su questo ora la maggioranza degli americani gli darebbe ragione.
Alessandro Ursic
peacereporter.net
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