Michele Nani
In un recente, ampio saggio dedicato alla «teoria sociale radicale in un mondo post-comunista», After Dialectics, il sociologo Göran Therborn ha tracciato una mappa delle risposte alle sollecitazioni del presente e alla crisi del marxismo offerte dagli intellettuali di sinistra che hanno saputo resistere alle sirene del postmodernismo e del neoliberalismo (per Therborn un «neomodernismo di destra»). Fra i tratti emergenti sarebbe centrale l'«omaggio alle reti»: secondo lo studioso svedese infatti il concetto di network ha rimpiazzato quelli di «struttura» o «organizzazione», che avevano caratterizzato la teoria sociale del Novecento.
Salti di qualità
Le origini del paradigma della «rete» risiedono nella psicologia sociale fra le due guerre (la «sociometria» di Jacob Moreno), con sviluppi postbellici negli «studi di comunità» e nella sociologia della famiglia e della parentela. Dagli anni Sessanta la network analysis ha conosciuto un salto di qualità, grazie alla formalizzazione matematica, agli sviluppi dell'informatica e alla diffusione del computer. La possibilità di esplorare ampie quantità di dati ha portato a innumerevoli applicazioni, fra le quali l'analisi delle «reti» o dei «reticoli» sociali (che ha dato vita anche a una specifica comunità internazionale di ricercatori: www.insna.org). Si tratta di una impostazione che cerca di articolare le relazioni sociali senza schiacciarle su entità compatte, come il «gruppo», sia esso la famiglia, la classe, la generazione.
Alla rigidità delle teorie tradizionali si sostituirebbe così un'attenzione alla fluidità dei processi concreti, centrati sugli individui ma senza cadere nell'individualismo metodologico: i singoli sarebbero infatti «nodi» in una rete di «connessioni», la cui estensione e qualità rappresenta una «risorsa» essenziale nel far fronte a problemi specifici, basti pensare ai casi classici delle «catene» migratorie, delle micro-interazioni sul luogo di lavoro o della ricerca di una casa (a questo proposito può essere utile rileggere l'introduzione della curatrice, Fortunata Piselli, all'antologia di studi classici Reti. L'analisi di network nelle scienze sociali, Donzelli 1995, riedito nel 2001). Per alcuni studiosi si tratta di una nuova teoria della società che renderebbe obsolete le precedenti, mentre per altri di un metodo analitico fra tanti, utile a chiarire alcuni aspetti di un dato problema e compatibile con diversi orientamenti.
L'età dell'informazione
Come ricorda lo stesso Therborn, l'ascesa del lessico della «rete» non è semplicemente il prodotto di un raffinamento intellettuale, bensì il sintomo di una trasformazione nelle stesse relazioni sociali. Infatti gli sviluppi scientifici della network analysis convivono con un diffuso riferimento alle «reti», figlio dell'età di Internet, talora meditato, più spesso generico e allusivo.
L'esempio più illustre di questa disseminazione sono senz'altro i tre volumi dell'Età dell'informazione (Università Bocconi Editore, 2002-2004), nei quali il sociologo catalano Manuel Castells ha descritto le origini e i più recenti sviluppi della «società di rete», modellata dalle nuove concezioni della gestione di impresa e dalle nuove tecnologie dell'informazione.
Le «reti» sono anche al centro dei lavori di molti studiosi di storia, sia in quanto oggetti concreti (le telecomunicazioni, le comunità scientifiche o i flussi migratori), sia quale strumento interpretativo in grado di rendere conto delle relazioni sociali a più livelli, dalla scala locale a quella, sempre più importante, della storia «globale» o «trans-nazionale». Alcuni esempi della produttività di quest'ultima impostazione vengono dal convegno internazionale che per lunga consuetudine si tiene annualmente a Linz, giunto alla quarantatreesima edizione e dedicato alle «reti transnazionali del movimento operaio».
L'appuntamento di Linz nacque durante la guerra fredda come confronto, sul campo della neutrale Austria, fra la storiografie marxiste dell'Est e dell'Ovest in merito alla storia della classe operaia e del movimento dei lavoratori e delle lavoratrici. Dopo il crollo del «socialismo reale» il confronto ha saputo rinnovarsi, tentando di stabilire una comunicazione su un asse diverso (Nord/Sud) e affrontando temi quali l'identità nazionale, le migrazioni, i riti, miti e simboli del movimento operaio, le questioni di genere, le biografie collettive (maggiori informazioni sul sito www.ith.or.at, ove si possono anche ordinare i volumi degli atti). Sulla base di un progetto triennale dedicato alla «storia della classe operaia oltre i confini» e della riflessione di due dei coordinatori del convegno, Berthold Unfried (presidente dell'Ith) e Marcel van der Linden (fra gli animatori dell'Iisg, l'Istituto internazionale per la storia sociale di Amsterdam, www.iisg.nl), i contributi presentati a Linz si soffermano su due aspetti fondamentali: lo statuto della «rete» fra realtà sociale e metodo interpretativo e le diverse modalità di organizzazione delle reti.
Rispetto alla prima questione, anche gli studiosi del movimento operaio si articolano fra i due poli estremi della formalizzazione e dell'uso metaforico: da un lato la network analysis si può applicare all'esame quantitativo dello scambio epistolare o delle strutture del Komintern (come suggerito da Bernhard Bayerlein); dall'altro l'idea di «rete» può servire a decolonizzare gli approcci all'internazionalismo e a non isolare le connessioni esterne dagli sviluppi interni agli Stati nazionali (Susan Zimmermann); in mezzo, per così dire, si collocano gli orientamenti strutturati ma non quantitativi, come quello di Ravi Ahuja, che critica l'opposizione fra reti (informali) e istituzioni (gerarchiche) e applica il concetto di network alle trasformazioni trans-territoriali del mercato del lavoro, prendendo a esempio il caso dei marinai indiani fra Otto e Novecento.
Al di là degli aspetti metodologici, le ricerche di storia sociale e culturale presentate a Linz confermano la fertilità del concetto. In una prospettiva di storia sociale, che insiste sulla prospettiva dal basso e sulla vita quotidiana, Dirk Hoerder propone un articolato quadro analitico per l'analisi delle reti migratorie globali, attorno al concetto di «trans-culturale»: i migranti in realtà abbandonano una comunità locale per costruirne un'altra, spesso con compaesani o parenti in senso largo; questo flusso «trans-locale» è condizionato dalle cornici «trans-nazionali» dell'economia, dei trasporti e dei controlli degli Stati di partenza, di arrivo, ma spesso anche di transito.
I centri e le periferie
Saldando storia sociale e storia culturale e raccogliendo l'eredità di Georges Haupt, il grande storico del socialismo internazionale, Augusta Dimou ricostruisce le reti di circolazione delle idee socialiste. Al centro delle sue ricerche è la storia comparata della graduale disseminazione di diversi tipi di socialismo nell'Europa sud-orientale, come adattamento locale di paradigmi elaborati altrove. Nei successivi percorsi del populismo in Serbia, del marxismo classico in Bulgaria e del comunismo in Grecia si disegnano reti di diffusione che collegano quelle periferie ai centri di turno, ma non solcano trasversalmente lo spazio balcanico. Su queste reti sono cruciali i mediatori, gli studenti che frequentano le università straniere o i rifugiati politici che arrivano nei Balcani, ma anche gli intellettuali che per la povertà di impieghi scelgono la carriera di maestro o di insegnante.
Un altro esempio di rete è quello dal Jewish Labour Committee, costruito dal movimento operaio ebraico statunitense nel 1934 per contribuire al salvataggio di importanti dirigenti europei minacciati dall'ascesa del nazismo e, in quanto non comunisti, al di fuori dell'assai più potente rete di soccorso del Komintern. Come ricordano Catherine Collomp e Bruno Groppo, il contributo militante e finanziario della base operaia ebraico-americana ruppe l'isolazionismo dei sindacati statunitensi e consentì di intraprendere un'azione continua che portò all'emigrazione di circa cinquecento socialisti e sindacalisti (ebrei e non), grazie ai rapporti spesso personali con esponenti dell'antifascismo europeo.
Una elastica produttività
Come altri domini della ricerca, anche la storiografia su classe e movimento operaio sta facendo proficuo uso dell'arsenale della «rete», mostrando la possibile estensione dell'assunto di Therborn riguardo il carattere cruciale dell'idea per la teoria sociale post- o neo-marxista. A suo avviso, inoltre, non solo come metodo ma anche dal punto di vista delle ricadute politiche il riferimento al network è neutrale e può dunque convivere con molti indirizzi. Forse proprio questa sua elastica produttività ha ritardato quel lavoro di analisi critica in grado di relativizzarne la portata, esaminandone i limiti: nelle parole dello studioso di Uppsala, la rete sarebbe «un concetto che sta ancora godendosi indisturbato la propria luna di miele».
ilmanifesto.it
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Le origini del paradigma della «rete» risiedono nella psicologia sociale fra le due guerre (la «sociometria» di Jacob Moreno), con sviluppi postbellici negli «studi di comunità» e nella sociologia della famiglia e della parentela. Dagli anni Sessanta la network analysis ha conosciuto un salto di qualità, grazie alla formalizzazione matematica, agli sviluppi dell'informatica e alla diffusione del computer. La possibilità di esplorare ampie quantità di dati ha portato a innumerevoli applicazioni, fra le quali l'analisi delle «reti» o dei «reticoli» sociali (che ha dato vita anche a una specifica comunità internazionale di ricercatori: www.insna.org). Si tratta di una impostazione che cerca di articolare le relazioni sociali senza schiacciarle su entità compatte, come il «gruppo», sia esso la famiglia, la classe, la generazione.
Alla rigidità delle teorie tradizionali si sostituirebbe così un'attenzione alla fluidità dei processi concreti, centrati sugli individui ma senza cadere nell'individualismo metodologico: i singoli sarebbero infatti «nodi» in una rete di «connessioni», la cui estensione e qualità rappresenta una «risorsa» essenziale nel far fronte a problemi specifici, basti pensare ai casi classici delle «catene» migratorie, delle micro-interazioni sul luogo di lavoro o della ricerca di una casa (a questo proposito può essere utile rileggere l'introduzione della curatrice, Fortunata Piselli, all'antologia di studi classici Reti. L'analisi di network nelle scienze sociali, Donzelli 1995, riedito nel 2001). Per alcuni studiosi si tratta di una nuova teoria della società che renderebbe obsolete le precedenti, mentre per altri di un metodo analitico fra tanti, utile a chiarire alcuni aspetti di un dato problema e compatibile con diversi orientamenti.
L'età dell'informazione
Come ricorda lo stesso Therborn, l'ascesa del lessico della «rete» non è semplicemente il prodotto di un raffinamento intellettuale, bensì il sintomo di una trasformazione nelle stesse relazioni sociali. Infatti gli sviluppi scientifici della network analysis convivono con un diffuso riferimento alle «reti», figlio dell'età di Internet, talora meditato, più spesso generico e allusivo.
L'esempio più illustre di questa disseminazione sono senz'altro i tre volumi dell'Età dell'informazione (Università Bocconi Editore, 2002-2004), nei quali il sociologo catalano Manuel Castells ha descritto le origini e i più recenti sviluppi della «società di rete», modellata dalle nuove concezioni della gestione di impresa e dalle nuove tecnologie dell'informazione.
Le «reti» sono anche al centro dei lavori di molti studiosi di storia, sia in quanto oggetti concreti (le telecomunicazioni, le comunità scientifiche o i flussi migratori), sia quale strumento interpretativo in grado di rendere conto delle relazioni sociali a più livelli, dalla scala locale a quella, sempre più importante, della storia «globale» o «trans-nazionale». Alcuni esempi della produttività di quest'ultima impostazione vengono dal convegno internazionale che per lunga consuetudine si tiene annualmente a Linz, giunto alla quarantatreesima edizione e dedicato alle «reti transnazionali del movimento operaio».
L'appuntamento di Linz nacque durante la guerra fredda come confronto, sul campo della neutrale Austria, fra la storiografie marxiste dell'Est e dell'Ovest in merito alla storia della classe operaia e del movimento dei lavoratori e delle lavoratrici. Dopo il crollo del «socialismo reale» il confronto ha saputo rinnovarsi, tentando di stabilire una comunicazione su un asse diverso (Nord/Sud) e affrontando temi quali l'identità nazionale, le migrazioni, i riti, miti e simboli del movimento operaio, le questioni di genere, le biografie collettive (maggiori informazioni sul sito www.ith.or.at, ove si possono anche ordinare i volumi degli atti). Sulla base di un progetto triennale dedicato alla «storia della classe operaia oltre i confini» e della riflessione di due dei coordinatori del convegno, Berthold Unfried (presidente dell'Ith) e Marcel van der Linden (fra gli animatori dell'Iisg, l'Istituto internazionale per la storia sociale di Amsterdam, www.iisg.nl), i contributi presentati a Linz si soffermano su due aspetti fondamentali: lo statuto della «rete» fra realtà sociale e metodo interpretativo e le diverse modalità di organizzazione delle reti.
Rispetto alla prima questione, anche gli studiosi del movimento operaio si articolano fra i due poli estremi della formalizzazione e dell'uso metaforico: da un lato la network analysis si può applicare all'esame quantitativo dello scambio epistolare o delle strutture del Komintern (come suggerito da Bernhard Bayerlein); dall'altro l'idea di «rete» può servire a decolonizzare gli approcci all'internazionalismo e a non isolare le connessioni esterne dagli sviluppi interni agli Stati nazionali (Susan Zimmermann); in mezzo, per così dire, si collocano gli orientamenti strutturati ma non quantitativi, come quello di Ravi Ahuja, che critica l'opposizione fra reti (informali) e istituzioni (gerarchiche) e applica il concetto di network alle trasformazioni trans-territoriali del mercato del lavoro, prendendo a esempio il caso dei marinai indiani fra Otto e Novecento.
Al di là degli aspetti metodologici, le ricerche di storia sociale e culturale presentate a Linz confermano la fertilità del concetto. In una prospettiva di storia sociale, che insiste sulla prospettiva dal basso e sulla vita quotidiana, Dirk Hoerder propone un articolato quadro analitico per l'analisi delle reti migratorie globali, attorno al concetto di «trans-culturale»: i migranti in realtà abbandonano una comunità locale per costruirne un'altra, spesso con compaesani o parenti in senso largo; questo flusso «trans-locale» è condizionato dalle cornici «trans-nazionali» dell'economia, dei trasporti e dei controlli degli Stati di partenza, di arrivo, ma spesso anche di transito.
I centri e le periferie
Saldando storia sociale e storia culturale e raccogliendo l'eredità di Georges Haupt, il grande storico del socialismo internazionale, Augusta Dimou ricostruisce le reti di circolazione delle idee socialiste. Al centro delle sue ricerche è la storia comparata della graduale disseminazione di diversi tipi di socialismo nell'Europa sud-orientale, come adattamento locale di paradigmi elaborati altrove. Nei successivi percorsi del populismo in Serbia, del marxismo classico in Bulgaria e del comunismo in Grecia si disegnano reti di diffusione che collegano quelle periferie ai centri di turno, ma non solcano trasversalmente lo spazio balcanico. Su queste reti sono cruciali i mediatori, gli studenti che frequentano le università straniere o i rifugiati politici che arrivano nei Balcani, ma anche gli intellettuali che per la povertà di impieghi scelgono la carriera di maestro o di insegnante.
Un altro esempio di rete è quello dal Jewish Labour Committee, costruito dal movimento operaio ebraico statunitense nel 1934 per contribuire al salvataggio di importanti dirigenti europei minacciati dall'ascesa del nazismo e, in quanto non comunisti, al di fuori dell'assai più potente rete di soccorso del Komintern. Come ricordano Catherine Collomp e Bruno Groppo, il contributo militante e finanziario della base operaia ebraico-americana ruppe l'isolazionismo dei sindacati statunitensi e consentì di intraprendere un'azione continua che portò all'emigrazione di circa cinquecento socialisti e sindacalisti (ebrei e non), grazie ai rapporti spesso personali con esponenti dell'antifascismo europeo.
Una elastica produttività
Come altri domini della ricerca, anche la storiografia su classe e movimento operaio sta facendo proficuo uso dell'arsenale della «rete», mostrando la possibile estensione dell'assunto di Therborn riguardo il carattere cruciale dell'idea per la teoria sociale post- o neo-marxista. A suo avviso, inoltre, non solo come metodo ma anche dal punto di vista delle ricadute politiche il riferimento al network è neutrale e può dunque convivere con molti indirizzi. Forse proprio questa sua elastica produttività ha ritardato quel lavoro di analisi critica in grado di relativizzarne la portata, esaminandone i limiti: nelle parole dello studioso di Uppsala, la rete sarebbe «un concetto che sta ancora godendosi indisturbato la propria luna di miele».
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