Arriva nelle sale italiane il film del popolare cartoon. Un capolavoro di umorismo amaro
Da anni sono gli unici che riescono a tenere tutta la famiglia davanti alla tv
Va oltre l´antipolitica verso uno stadio più avanzato di dissoluzione sociale
Esce domani il primo film di un cartoon ormai globalizzato
L´egemonia culturale della famiglia Simpson
CHE i Simpson siano uno dei capolavori della cultura pop di tutti i tempi lo pensiamo in parecchi. Un successo planetario raggiunto "nonostante" l´altissima qualità della satira di Matt Groening e del suo staff. E, per noi fan più stagionati, uno dei pochi momenti di comunione intellettuale con i figli adolescenti, perché i Simpson (miracolo!) riescono a tenere insieme la formidabile, nevrotica velocità del racconto televisivo e il peso specifico di una critica sociale raffinata e molto ma molto "scritta".
Capita così che, guardando insieme i Simpson, noi genitori dobbiamo farci spiegare dai figli le battute troppo veloci, che sfuggono ai nostri lenti neuroni, mentre i figli chiedono ai genitori ragguagli sulle allusioni politiche e storiche che sfuggono alla loro breve esperienza. Probabile, dunque, che il primo film dei Simpson (che approda da domani nei cinema italiani) riesca a ricostituire nelle sale lo stesso, non comune mix di adulti e ragazzini che già si raduna, da anni, davanti al video. "Famiglia", del resto, è un concetto molto simpsoniano. Oltre a essere la ragione sociale dei cinque solisti Homer, Marge, Bart, Lisa e Maggie (padre, madre e tre figli), è anche la sola forma di aggregazione e sostegno che regge nella esilarante ma mostruosa America nella quale vivono i Simpson.
Nel film questo elemento è ancora più avvertibile. Per usare i (piccoli) parametri di casa nostra, diciamo che siamo ben oltre la cosiddetta antipolitica. In uno stadio molto più avanzato di dissoluzione sociale. Perché se il potere (economico e politico) è sistematicamente raffigurato come un insieme di paranoici, di imbecilli e di corrotti, il popolo non è certo migliore. È una folla avida e meschina, manipolabile dai media e dalla pubblicità. Pronta a linciare il vicino di casa o a riconoscerlo salvatore del mondo nel giro di un equivoco, di un sospetto, di una fola. Chi ama i Simpson ride molto, e ride amaro, non solamente alla spalle del Palazzo (pratica, questa, molto comoda e dunque molto seguita qui in Italia), ma anche alle spalle dell´uomo della strada, in genere una piccola canaglia che inveisce contro le grandi canaglie del potere: la differenza è solo di calibro, non di qualità. I cinque Simpson, dunque, sono costretti a confidare solamente in loro stessi, come naufraghi di una catastrofe antropologica che si aggrappano alla famiglia non perché la "amino", o ne percepiscano una qualche superiorità etica, ma solo perché è l´ultima zattera disponibile. Un´Arca scalcinata, comicamente inadeguata, dopo il diluvio che ha sommerso ogni altro vincolo sociale. (E vengono in mente Vonnegut, Palahniuk, e parecchia altra letteratura americana degli ultimi decenni).
Detta così, la morale del film, e dell´intera saga dei Simpson, rischierebbe di essere quasi ratzingeriana: in una società mostrificata dal consumismo e dal cinismo, la famiglia è l´unica salvezza. Ma il bello dei Simpson (e anche il brutto, a pensarci bene) è che l´allegria satirica non si ferma davanti ad alcuna "moralità". La famiglia Simpson non ha proprio niente d´immune o di "diversamente etico". Il capofamiglia, lungi da essere un modello, è un cialtrone bulimico, schiavo della televisione, il figlio maschio un analfabeta etico, esibizionista e sbruffone, la figlia Lisa una petulante caricatura del moralismo politicamente corretto, l´eterna neonata Maggie un fagotto trascurato. Forse solo la madre, la malinconica Marge, può apparire custode di qualche tabernacolo affettivo. Sopportare Homer, la sua pancia sconciamente esposta, i suoi rutti e la sua inettitudine sociale è di per sé un atto di eroismo. Sì, è la madre la vera eroina della situazione: ma quanto valga battersi per una famiglia che si alimenta di tutti i peggiori miti e vizi del consumismo, succube della propria mediocrità, è una risposta che la satira, per fortuna, non vuole e non deve porsi.
Magari, dopo avere molto riso (il film è un capolavoro di umorismo: sceneggiatura e dialoghi non perdono mezzo colpo), qualche domanda possiamo farcela noi. I Simpson hanno ottenuto un clamoroso successo planetario, di pubblico e di critica, mettendo in ridicolo (e per questo sono detestati dalla destra americana) tutti o quasi i presupposti dell´Impero: il patriottismo, il sogno americano, il merito economico, lo zelo religioso come pretestuosa ragione di superiorità. E perfino il solido e glorioso mito dell´Individuo onesto e coraggioso, che rimane integro e in virtù di questa integrità può salvare il mondo, nel film è fatto a pezzi: a innescare il disastro ambientale che sta per distruggere il pianeta è proprio Homer, l´americano medio (l´Alberto Sordi degli States, potremmo dire), il cui stile di vita è di per sé un attentato alla logica prima ancora che all´ecologia.
Infine, dunque, se possiamo rintracciare un bandolo "etico" nel notevole piacere che ci dà vedere i Simpson (se, cioè, non vogliamo dirci definitivamente cinici, e rassegnati), ebbene il bandolo può essere proprio questo: nessuno è assolto, nessuno è immune, tutti siamo coinvolti. Imparando a ridere prima di tutto di noi stessi, della nostra bulimia e del nostro egoismo, della nostra stupidità di sudditi; e finendola, una volta per tutte, di pensare di essere solamente vittime del Potere: solo allora riusciremo a capire in che mondo viviamo, di quale pazzia siamo affetti, di quante responsabilità siamo carichi. Non è vero che "una risata vi seppellirà". Semmai, una risata "ci" seppellirà. È molto diverso. Ed è la ragione profonda per la quale vado matto per i Simpson.
cinemagay.it
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