Il Meridiano delle «Opere» di Baruch Spinoza. Una raccolta e una bella traduzione di tutti gli scritti unita a una efficace nota che scandisce la vita del filosofo olandese. L'interpretazione di Spinoza è stata in perenne rinnovamento, anche se non mancano ancora studiosi che cercano di neutralizzare un pensiero la cui eredità permette di uscire dalla crisi della cultura della sinistra italiana
Toni Negri
In una recente intervista Pierre-François Moreau (oggi punto di riferimento degli studi francesi su Spinoza) ha notato che l'Italia è forse il paese nel quale si pubblica di più sull'opera di Spinoza. Paradossalmente, nel nostro paese non c'era tuttavia un'edizione di riferimento che, in buon italiano, comprendesse l'intera opera del grande autore seicentesco. Oggi, questa Opera finalmente c'è: pubblicata da Mondadori nei Meridiani, a cura e con un saggio introduttivo di Filippo Mignini (che ha anche lavorato alle traduzioni ed alle note con Omero Proietti). Quest'edizione è importantissima perché raccoglie, come s'è detto, tutta l'opera di Spinoza, perché la traduce bene, perché contiene un'utile introduzione teorica, un accurato accenno storico alla fortuna di Spinoza e soprattutto perché offre un'accurata cronologia ragionata sulla vita di Spinoza e sull'ambiente olandese nel quale la sua filosofia si è formata. (A proposito chi ne ha il tempo può ancora visitare a Parigi, nel Musée d'Art et d'Histoire du Judaisme, una ricchissima ed appassionante esposizione sull'Amsterdam ebraica di Rembrant e Spinoza). Era ora che questo strumento essenziale fosse messo a disposizione degli studiosi italiani.
Un autore azzerato
Come ben si segnala nell'introduzione, l'interpretazione di Spinoza e la sua fortuna sono state in perenne rinnovamento. Anche a chi scrive è richiesto di prendere posizione su questo terreno e di misurare in che prospettiva mettersi nello spendere o forse, meglio, nell'investire le fortune lasciateci da Spinoza. Ho tra le mani la recensione che alla traduzione Mignini-Proietti, ha fatto Emanuele Severino ne Il Corriere della Sera. S'intitola: «Spinoza, Dio e il Nulla. Il Maestro del Seicento, lontano dalla religione, ma tentato di negare il mondo» (30 Giugno 2007). Severino aderisce all'affermazione di Mignini che la filosofia di Spinoza rappresenti: «il più radicale ed alternativo sistema della storia filosofica dell'Occidente dopo la venuta di Cristo» - ma, come spesso gli storici della filosofia hanno fatto (allo scopo di neutralizzare questa potente radicalità alternativa), aggiunge che l'immanenza spinozista si sporge sul nulla, che l'assoluto della produzione sembra confondersi in quello della distruzione e che queste spinte opposte «hanno in comune la convinzione decisiva ed abissale che le cose del mondo sono nulla».
Questo sforzo di neutralizzazione è stato probabilmente - nella sua forma più sofisticata - elaborato da Hegel quando, dopo aver affermato che «se non si è spinozisti, non può filosofare» - che cioè solo l'assunzione dell'assoluto e l'immersione in esso aprono alla filosofia - immediatamente aggiunge: non solo Spinoza non ha la capacità di sviluppare quest'assolutezza perché non è trinitario, dialettico, perché è ebreo ma anche perché, «povero tisicuzzo», non ne ha la forza. Quale smalcazonata! Perdura, tuttavia, questo stile di polemica e permette a chi vede nell'essere una tendenza alla morte, di rimproverare a chi scriveva: «l'uomo libero a nulla pensa di meno che alla morte, e la sua saggezza è meditazione non della morte ma della vita» (Ethica), di confondere l'essere e il non essere. Eppure no: «la nostra mente, in quanto percepisce le cose con verità, è una parte dell'intelletto infinito di Dio» (Ethica). Possiede dunque la potenza del divino - questa natura, questa materia della quale siamo fatti, hanno quella potenza.
Collocandoci dentro una storia di investimenti della potenza spinozista, chiediamoci che cosa sia oggi, come possa per noi configurarsi, il materialismo spinozista. Non è un materialismo dell'oggetto inerte, diremo, e neppure è quello che semplicemente promana da sequenze causali necessarie: è bensì un materialismo delle differenze attive e dei dispositivi soggettivi, ovvero un'affermazione della materia come forza produttiva, attraverso l'attività di quelle modalità che costituiscono la sostanza. Questa linea interpretativa ha, nell'ultimo trentennio dopo il '68, invaso il terreno delle letture spinoziste ed è difficile pensare che oggi, e forse per un lungo periodo, ci si possa dire spinozisti (e quindi cominciare a filosofare) evitandone l'efficia.
Un'etica dell'azione
Da questo punto di vista, la pubblicazione dell'Opera omnia di Spinoza offre un'ottima occasione per la ripresa del dibattito sul problema della cultura di sinistra in Italia. Il socialismo positivista ha finito da tempo di dare i suoi frutti ed anche le rifioriture engelsiane si sono ampiamente dissolte. Quanto al togliattismo, ovvero allo storicismo piegato alle esigenze della politica del partito, anch'esso ha da tempo terminato di esercitare qualche influenza. Che mille fiori fioriscano, allora! In realtà sono già fioriti: non saranno mille ma per quanto minuscolo il campo della critica di sinistra possa essere, è sicuramente originale e sta ridefinendo i suoi orizzonti. Forse già si può dire: questo secolo sarà spinozista! Foucault lo disse per Deleuze, Deleuze lo disse per Marx, Marx lo dice per Spinoza. Ciascuno di questi autori ha proceduto mascherato per chiarirci quell'unico modo di fare una filosofia materialista che apra ad un'etica dell'azione.
Fra gli anni '60 e '70 abbiamo vissuto un'epoca di profondissima crisi dell'ideologia socialista e di critica del pensiero marxiano. Possiamo forse oggi ritrovare le origini spinoziste di quella riflessione. Un esempio fra altri possibili. Quando Althusser definisce una «cesura» radicale nello sviluppo del pensiero marxiano, egli forse non pensa ancora che la rottura fra la metodologia scientifica del Marx maturo ed il suo umanesimo iniziale potesse essere interpretata in termini spinozisti. Solo più tardi, nel momento più difficile della sua conversione postmarxista, confusamente Althusser suggerirà una tale determinante del suo passaggio. Straordinariamente efficace questa allusione! Essa significava che Spinoza ci poteva finalmente liberare da ogni dialettismo, da ogni teleologia; essa affidava la conoscenza alla resistenza e la felicità alla passione razionale della moltitudine. Ecco perché, quando il quadro della lotta per l'emancipazione umana si allarga, e la critica aggancia lo sviluppo capitalistico nella fase della sussunzione reale, nella fase imperiale cioè, nel postcolonialismo - è allora che sulla «cesura» marxiana si impone apertamente la «matrice» spinozista.
È un materialismo dei dispositivi ontologici e della produzione di soggettività che qui apertamente si esprime. È un passaggio storico nel quale stanno tutti coloro che attorno all'emancipazione, hanno sviluppato un pensiero della differenza, antiteleologico ed immanentista.Mario Tronti e Luisa Muraro, nel nostro (grande) piccolo, ma poi tutti gli altri che, del postmoderno, hanno fatto un'arma di emancipazione: la Spivak come gli altri postcoloniali, per parlare solo di alcuni - ma soprattutto ci sta Foucault. È questo il momento nel quale il nuovo materialismo spinozista comincia a produrre i suoi effetti, a mostrarci - attraverso le articolazioni della sostanza - la produttività dei modi, ossia la piega singolare, rivoluzionaria che essi assumono.
L'offensiva storicista
Attenzione tuttavia ai contrefeux che sono opposti a questa nuova fondazione del pensiero materialista o del pensiero politico di una sinistra rivoluzionaria. Vi è chi sostiene che, aderendo a questo materialismo, si rischia di giocare col fuoco, con il vitalismo e/o un irrazionalismo che ormai fan parte del mercato. Redemption business. Tom Nairn ha sostenuto questa tesi in un recente numero del London Review of Books: era la stizzosa reazione di un esponente della vecchia guardia socialista contro le nuove esperienze e i nuovi bisogni del proletariato cognitivo. Più pericolosa, d'altro lato, si è presentata, ben agguerrita, un'offensiva storicista, intesa a neutralizzare «l'anomalia spinoziana». È soprattutto Jonathan Israel - nel suo per altri versi importante Radical Enlightment - che ha operato in questo senso appiattendo la specificità dello spinozismo in un vago illuminismo riformista.
Ma Spinoza non è mai stato un riformista, non ha mai pensato l'essere come una dinamica che non facesse salti: anzi, è proprio su queste rotture, su questa vivace presenza dei modi, sulla singolarità che l'eterno loro garantisce, e sulla libertà, che il futuro si presenta. E così Spinoza rompe con ogni filosofia accademica (ed ogni neutralizzazione del sapere) perché mette la sua metafisica al servizio diretto della liberazione dell'umanità, e dei movimenti, contro le istituzioni del potere. E' da qui che si apre un'alternativa definitiva alla modernità e a tutti i suoi orpelli ideologici.
ilmanifesto.it
Un autore azzerato
Come ben si segnala nell'introduzione, l'interpretazione di Spinoza e la sua fortuna sono state in perenne rinnovamento. Anche a chi scrive è richiesto di prendere posizione su questo terreno e di misurare in che prospettiva mettersi nello spendere o forse, meglio, nell'investire le fortune lasciateci da Spinoza. Ho tra le mani la recensione che alla traduzione Mignini-Proietti, ha fatto Emanuele Severino ne Il Corriere della Sera. S'intitola: «Spinoza, Dio e il Nulla. Il Maestro del Seicento, lontano dalla religione, ma tentato di negare il mondo» (30 Giugno 2007). Severino aderisce all'affermazione di Mignini che la filosofia di Spinoza rappresenti: «il più radicale ed alternativo sistema della storia filosofica dell'Occidente dopo la venuta di Cristo» - ma, come spesso gli storici della filosofia hanno fatto (allo scopo di neutralizzare questa potente radicalità alternativa), aggiunge che l'immanenza spinozista si sporge sul nulla, che l'assoluto della produzione sembra confondersi in quello della distruzione e che queste spinte opposte «hanno in comune la convinzione decisiva ed abissale che le cose del mondo sono nulla».
Questo sforzo di neutralizzazione è stato probabilmente - nella sua forma più sofisticata - elaborato da Hegel quando, dopo aver affermato che «se non si è spinozisti, non può filosofare» - che cioè solo l'assunzione dell'assoluto e l'immersione in esso aprono alla filosofia - immediatamente aggiunge: non solo Spinoza non ha la capacità di sviluppare quest'assolutezza perché non è trinitario, dialettico, perché è ebreo ma anche perché, «povero tisicuzzo», non ne ha la forza. Quale smalcazonata! Perdura, tuttavia, questo stile di polemica e permette a chi vede nell'essere una tendenza alla morte, di rimproverare a chi scriveva: «l'uomo libero a nulla pensa di meno che alla morte, e la sua saggezza è meditazione non della morte ma della vita» (Ethica), di confondere l'essere e il non essere. Eppure no: «la nostra mente, in quanto percepisce le cose con verità, è una parte dell'intelletto infinito di Dio» (Ethica). Possiede dunque la potenza del divino - questa natura, questa materia della quale siamo fatti, hanno quella potenza.
Collocandoci dentro una storia di investimenti della potenza spinozista, chiediamoci che cosa sia oggi, come possa per noi configurarsi, il materialismo spinozista. Non è un materialismo dell'oggetto inerte, diremo, e neppure è quello che semplicemente promana da sequenze causali necessarie: è bensì un materialismo delle differenze attive e dei dispositivi soggettivi, ovvero un'affermazione della materia come forza produttiva, attraverso l'attività di quelle modalità che costituiscono la sostanza. Questa linea interpretativa ha, nell'ultimo trentennio dopo il '68, invaso il terreno delle letture spinoziste ed è difficile pensare che oggi, e forse per un lungo periodo, ci si possa dire spinozisti (e quindi cominciare a filosofare) evitandone l'efficia.
Un'etica dell'azione
Da questo punto di vista, la pubblicazione dell'Opera omnia di Spinoza offre un'ottima occasione per la ripresa del dibattito sul problema della cultura di sinistra in Italia. Il socialismo positivista ha finito da tempo di dare i suoi frutti ed anche le rifioriture engelsiane si sono ampiamente dissolte. Quanto al togliattismo, ovvero allo storicismo piegato alle esigenze della politica del partito, anch'esso ha da tempo terminato di esercitare qualche influenza. Che mille fiori fioriscano, allora! In realtà sono già fioriti: non saranno mille ma per quanto minuscolo il campo della critica di sinistra possa essere, è sicuramente originale e sta ridefinendo i suoi orizzonti. Forse già si può dire: questo secolo sarà spinozista! Foucault lo disse per Deleuze, Deleuze lo disse per Marx, Marx lo dice per Spinoza. Ciascuno di questi autori ha proceduto mascherato per chiarirci quell'unico modo di fare una filosofia materialista che apra ad un'etica dell'azione.
Fra gli anni '60 e '70 abbiamo vissuto un'epoca di profondissima crisi dell'ideologia socialista e di critica del pensiero marxiano. Possiamo forse oggi ritrovare le origini spinoziste di quella riflessione. Un esempio fra altri possibili. Quando Althusser definisce una «cesura» radicale nello sviluppo del pensiero marxiano, egli forse non pensa ancora che la rottura fra la metodologia scientifica del Marx maturo ed il suo umanesimo iniziale potesse essere interpretata in termini spinozisti. Solo più tardi, nel momento più difficile della sua conversione postmarxista, confusamente Althusser suggerirà una tale determinante del suo passaggio. Straordinariamente efficace questa allusione! Essa significava che Spinoza ci poteva finalmente liberare da ogni dialettismo, da ogni teleologia; essa affidava la conoscenza alla resistenza e la felicità alla passione razionale della moltitudine. Ecco perché, quando il quadro della lotta per l'emancipazione umana si allarga, e la critica aggancia lo sviluppo capitalistico nella fase della sussunzione reale, nella fase imperiale cioè, nel postcolonialismo - è allora che sulla «cesura» marxiana si impone apertamente la «matrice» spinozista.
È un materialismo dei dispositivi ontologici e della produzione di soggettività che qui apertamente si esprime. È un passaggio storico nel quale stanno tutti coloro che attorno all'emancipazione, hanno sviluppato un pensiero della differenza, antiteleologico ed immanentista.Mario Tronti e Luisa Muraro, nel nostro (grande) piccolo, ma poi tutti gli altri che, del postmoderno, hanno fatto un'arma di emancipazione: la Spivak come gli altri postcoloniali, per parlare solo di alcuni - ma soprattutto ci sta Foucault. È questo il momento nel quale il nuovo materialismo spinozista comincia a produrre i suoi effetti, a mostrarci - attraverso le articolazioni della sostanza - la produttività dei modi, ossia la piega singolare, rivoluzionaria che essi assumono.
L'offensiva storicista
Attenzione tuttavia ai contrefeux che sono opposti a questa nuova fondazione del pensiero materialista o del pensiero politico di una sinistra rivoluzionaria. Vi è chi sostiene che, aderendo a questo materialismo, si rischia di giocare col fuoco, con il vitalismo e/o un irrazionalismo che ormai fan parte del mercato. Redemption business. Tom Nairn ha sostenuto questa tesi in un recente numero del London Review of Books: era la stizzosa reazione di un esponente della vecchia guardia socialista contro le nuove esperienze e i nuovi bisogni del proletariato cognitivo. Più pericolosa, d'altro lato, si è presentata, ben agguerrita, un'offensiva storicista, intesa a neutralizzare «l'anomalia spinoziana». È soprattutto Jonathan Israel - nel suo per altri versi importante Radical Enlightment - che ha operato in questo senso appiattendo la specificità dello spinozismo in un vago illuminismo riformista.
Ma Spinoza non è mai stato un riformista, non ha mai pensato l'essere come una dinamica che non facesse salti: anzi, è proprio su queste rotture, su questa vivace presenza dei modi, sulla singolarità che l'eterno loro garantisce, e sulla libertà, che il futuro si presenta. E così Spinoza rompe con ogni filosofia accademica (ed ogni neutralizzazione del sapere) perché mette la sua metafisica al servizio diretto della liberazione dell'umanità, e dei movimenti, contro le istituzioni del potere. E' da qui che si apre un'alternativa definitiva alla modernità e a tutti i suoi orpelli ideologici.
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