2.9.07

I crociati dell'antidarwinismo alla ricerca del senso, che non c'è

Sotto un titolo eloquente, «In difesa di Darwin. Piccolo bestiario dell'antievoluzionismo all'italiana», Telmo Pievani riprende i passaggi della discussione relativa all'insegnamento della teoria dell'evoluzione nelle scuole
Giovanni Iorio Giannoli

In una serie di saggi composti tra il 2003 e il 2004, ora raccolti e tradotti in italiano con il titolo Tra scienza e fede (Laterza, 2006, pp. 292, euro 18) Jürgen Habermas ha espresso serie preoccupazioni circa la possibilità che nella cultura occidentale si riacutizzi lo scontro tra il pensiero laico e la coscienza religiosa. A detta di Habermas, una contrapposizione del genere metterebbe in crisi la stabilità politica degli Stati costituzionali, l'ethos civico già difeso da Immanuel Kant e basato sul pluralismo delle concezioni del mondo e sul riconoscimento dei reciproci confini.
L'auspicio che tutte le parti collaborino solidalmente - e che, in particolare, il pensiero scientifico e quello religioso comprendano reciprocamente le ragioni l'uno dell'altro - non è formulato da Habermas per la sola (e condivisibile) esigenza di salvaguardare lo Stato democratico; piuttosto, questo auspicio trae origine da valutazioni di carattere più generale. In particolare, secondo Habermas, le grandi religioni contemporanee dovrebbero essere fatte rientrare nella storia stessa della Ragione; la coscienza religiosa sarebbe infatti in grado di alimentare la consapevolezza di ciò che manca nella società umana, di mantenere desta la sensibilità verso ciò che è venuto meno, di preservare dall'oblio le dimensioni e il senso dell'umana convivenza. Potrebbero essere inoltre riferiti alla «compenetrazione tra il cristianesimo e la metafisica greca» tutti quei concetti che rendono possibile fissare norme per il comportamento e valutare le azioni: autonomia, responsabilità, giustificazione, alienazione, emancipazione, interiorizzazione, soggettività, istituzione, comunità, memoria, storia.
C'è tuttavia una condizione alla quale la coscienza religiosa dovrebbe sottostare, per adempiere al suo ruolo critico nel mondo contemporaneo: i credenti dovrebbero «avere imparato a porre le proprie convinzioni religiose in rapporto riflessivamente comprensivo con la realtà del pluralismo di religioni e visioni del mondo, e (dovrebbero) aver conciliato con la loro fede il privilegio conoscitivo delle scienze socialmente istituzionalizzate, come pure il primato dello Stato secolare e della morale sociale universalistica».
Che questo atteggiamento sia scontato è lo stesso Habermas a metterlo in dubbio: è esperienza di tutti i giorni che le convinzioni religiose giochino un ruolo di resistenza e di conservazione rispetto ai tentativi di far prevalere il primato dello Stato secolare e di stabilire una morale che tenga conto delle condizioni di tutti. Sicché, rispetto all'ideale collaborativo difeso da Habermas, è sempre bene ricordare la massima: «i progetti meglio fondati rimangono senza effetto, se la realtà non viene loro incontro».
Un esempio efficace delle difficoltà che si possono incontrare sul terreno al quale Habermas si riferisce è dato dalla discussione che - dai primi mesi del 2004 - si è andata sviluppando in Parlamento, sugli organi di stampa, alla televisione, a proposito dell'insegnamento della teoria dell'evoluzione nelle nostre scuole statali. Telmo Pievani, in un suo libro pubblicato quest'anno con il titolo In difesa di Darwin. Piccolo bestiario dell'antievoluzionismo all'italiana (Bompiani, 2007, pp. 123, euro 8), ne ricorda i passaggi essenziali. Il tema dell'evoluzione naturale era stato rimosso dai programmi delle scuole medie nel marzo del 2004, per disposizione dall'allora ministro Moratti. Di fronte alla protesta unanime della comunità scientifica, il tema venne parzialmente reinserito nei programmi scolastici nell'ottobre del 200, grazie anche al lavoro di un gruppo di esperti, presieduto da Rita Levi Montalcini. Le conclusioni effettive di questo gruppo e le trasformazioni subite dal suo documento finale costituiscono tuttora un mistero, sul quale Pievani riferisce con dovizia, nel primo capitolo del suo libro. È particolarmente interessante analizzare le ragioni addotte dagli antievoluzionisti nostrani, per porre in questione il valore conoscitivo di una teoria scientifica ben corroborata, caposaldo del pensiero contemporaneo, da tempo inserita nei programmi didattici di tutte le nazioni civili.
Queste ragioni si caratterizzano infatti per l'uso anti-scientifico di temi che emergono dall'ambito della ricerca scientifica stessa, o dalla riflessione razionale su di essa. Così, la distinzione metodologica tra fatti, teorie formali e interpretazioni - che è un risultato dell'epistemologia del primo '900 - è diventata per gli antievoluzionisti un appiglio per affermare che ogni teoria (e ogni interpretazione) ha la stessa plausibilità di qualsiasi altra (fermi restando eventualmente i dati empirici). Dal fatto poi che gli esseri umani rappresentano se stessi - entro certi limiti - come agenti liberi, gli antievoluzionisti concludono che il comportamento umano è, per i suoi aspetti essenziali, sostanzialmente indipendente dalle leggi naturali. Inoltre, visto che la capacità di costruire rappresentazioni (e soprattutto di giudicarle) è soggetta alla maturazione individuale (a partire dalla prima infanzia, fino alla maturità), i creazionisti concludono che l'insegnamento della teoria dell'evoluzione è inopportuno, nelle prime fasce d'età.
Ma il punto cruciale della discussione, al di là delle diatribe metodologiche, è questo: la presunta impossibilità di dar conto dell'evoluzione (in particolare del processo di costituzione delle strutture più complesse), a partire da eventi che si presentano in larga misura come aleatori. A tale proposito gli antievoluzionisti utilizzano spesso un argomento di questo genere: così come nessuno di noi riterrebbe possibile che un orologio si possa venire a formare spontanemente, grazie all'incontro casuale degli atomi che lo compongono, così noi dovremmo giudicare analogamente impossibile che - senza l'intervento di un progettista creatore - un sistema complesso come l'occhio umano si sia venuto a formare grazie all'incontro casuale di materiale indifferenziato.
Questa presunta impossibilità rimetterebbe in discussione la risposta che Pierre Simon de Laplace ebbe a dare a Napoleone Bonaparte, quando questi lo interrogò sul ruolo svolto da Dio, nel garantire l'ordine celeste: «Maestà, noi non abbiamo bisogno di questa ipotesi». Ricordando che il carattere aleatorio dei processi evolutivi è soggetto a stringenti vincoli di carattere deterministico, Pievani ammette che è senz'altro possibile immaginare lo zampino della Provvidenza in una sequenza di contingenze storiche difficilmente prevedibili; ma questa ipotesi, oltre a essere spuria, non è affatto necessaria.
Più in generale, anche nelle versioni più tolleranti (come quella del teologo svizzero Hans Küng, antico avversario dell'allora cardinale Ratzinger), l'anti-darwinismo dei credenti si nutre in genere del problema del senso: il naturalismo non sarebbe in grado, per il suo orientamento, di dare conto del senso del mondo e del senso dell'esistenza. Già: ma per quali motivi il mondo e l'esistenza dovrebbero avere un senso (ovvero un fine, oppure almeno una direzione extra-mondana)? Pievani ricorda che quello del naturalismo è soprattutto un programma di ricerca, e non è interessato a confrontarsi con le credenze religiose, a meno che queste non pretendano di fissare divieti e limitazioni a priori, circa gli obiettivi e la pratica della ricerca scientifica. Quando poi la polemica contro la teoria dell'evoluzione si accompagna ad altri aspetti molto preoccupanti (la svolta conservatrice dell'attuale papato; un sostanziale ripiegamento del cattolicesimo democratico; un crescente pressing mediatico contro il laicismo; l'affermarsi di correnti teo-dem; la fragilità delle risposte di parte laica), c'è davvero da chiedersi se l'ideale di collaborazione e di complementarità sostenuto da Habermas non sia per caso sospeso nel vuoto e se la realtà non sia più ottusa di come il filosofo tedesco la rappresenti.
ilmanifesto.it

Nessun commento: