13.9.07

Riflessioni fuori dalla zona grigia

Silvia Calamandrei

Con A ferro e fuoco Enzo Traverso offre un ambizioso compendio di riflessione sul revisionismo storico interpretando la prima metà del «secolo breve» in chiave di guerra civile. L'autore riprende, rovesciandolo, il concetto elaborato dal primo teorico del revisionismo storico, Ernst Nolte, per dar conto di un'età di guerre, rivoluzioni e controrivoluzioni in cui i valori della democrazia liberale sono in profonda crisi. Rivisita dunque gli eventi non dal punto di vista delle «vittime» o della «zona grigia», ma degli attori, vincitori e vinti che si richiamano a ideologie «totalitarie» oggi condannate.
Traverso è perplesso di fronte alla valorizzazione della «zona grigia» con i criteri del XXI secolo, per cui gli unici veri eroi sono gli Schindler autori di gesti umanitari. Rimette al centro la guerra civile che ha spaccato l'Europa contrapponendo frontalmente fascisti e antifascisti e per definirla si rifà al controverso Carl Schmitt di Ex captivitate salus (1947), non mancando di rilevarne l'affinità con il Trotskij di Terrorismo e comunismo. E rimette in questione anche la posizione di osservatore super partes dello storico, rivendicando il proprio punto di vista per cui ricordare le atrocità commesse dai repubblicani spagnoli non significa metterli sullo stesso piano dei franchisti. La dimensione è quella del «ciclo» braudeliano a cui Traverso si richiama: «Il concetto di guerra civile europea non designa né un avvenimento né una tendenza secolare, ma appunto un ciclo in cui una catena di avvenimenti catastrofici - crisi, guerre, rivoluzioni - condensa una mutazione storica le cui premesse si sono accumulate, nella lunga durata, nel corso del secolo anteriore». Già due altri storici hanno utilizzato il concetto, con punti di vista opposti, Hobsbawm e Furet, l'uno per sostenere che quella guerra civile andava combattuta e che ha salvato l'Europa, l'altro per sostenere che era meglio «restare fuori della mischia».
L'autore rimette al centro i grandi dilemmi, nella loro tragicità: lo «stato d'eccezione» a cui si richiamano il decisionismo di Schmitt e il nichilismo messianico del Benjamin del Frammento teologico-politico, «due teologie politiche che si affrontano sulla base di una diagnosi comune - la crisi del presente, la necessità di prendere una decisione per uscirne - formulata a partire delle medesime categorie analitiche, ma che sfocia in terapie politiche opposte: rivoluzione e controrivoluzione». Il dialogo anche epistolare tra i due si interrompe negli anni '30, con l'ascesa di Hitler al potere; e Traverso evidenzia la contemporanea rottura nella cultura politica tedesca tra Heidegger e i suoi discepoli di sinistra, e tra Schmitt e Neumann e Kirchmeier.
Più problematica è la ricostruzione di Traverso del dilemma etico di fronte ai processi di Mosca degli anni '30, che vede contrapposti da un lato Victor Serge e John Dewey e dall'altro Trotskij. Dewey presiede una commissione d'inchiesta su quei processi, ivi comprese le imputazioni che erano state rivolte all'esule Trotskij, e pubblica le conclusioni con una prefazione di Serge, che ha conosciuto la realtà dei gulag. Il libertario e il liberale concordano nella condanna degli esiti aberranti della rivoluzione russa scorgendo nelle sinistre messe in scena di Viscinskij la prova del suo fallimento. È paradossalmente Trotskij, con l'opuscolo La loro morale e la nostra, ad ergersi a difensore della violenza bolscevica contro ogni condanna in nome di principi morali universali, sostenendo che «la guerra civile, forma culminante della lotta di classe, abolisce violentemente tutti i legami morali tra le classi nemiche». Stalin è condannabile come «termidoriano», ma non per i metodi: l'opuscolo fornisce un'apologia del terrore rivendicando le misure prese durante la guerra civile, molte personalmente da Trotskij medesimo.
Nella loro risposta Dewey e Serge prendono le distanze da Trotskij e vedono nei metodi bolscevichi il germe della degenerazione stalianiana. Secondo Traverso, se è vero che in Serge troviamo la testimonianza di uno «spirito antitotalitario» e in Trotskij la difesa della propria biografia politica, sono però «le tesi dell'ex capo dell'armata rossa quelle che restituiscono meglio lo spirito della guerra civile, con la sua morale ed i suoi eccessi». Per Traverso «Trotskij resta una figura enigmatica, al tempo stesso dittatore inflessibile e rivoluzionario perseguitato. La sua prosa è ritmata dal soffio di un'età di ferro e di fuoco».
Interessante infine la breve incursione di autobiografia generazionale dell'autore nell'introduzione, a proposito degli anni Settanta, e dei residui ideologici della lunga stagione della guerra civile che si reimpastano nei conflitti di una società avanzata, riproponendo modelli del passato e originando anche le derive tragiche del terrorismo. È l'esito dell'89 che secondo Traverso rimette tutto in discussione, consegnando «questi dibattiti strategici all'arsenale ideologico di un secolo ormai chiuso» ed esigendo un radicale ripensamento delle strade per «cambiare il mondo».

ilmanifesto.it

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